lunedì 31 ottobre 2011

venerdì 16 settembre 2011

klopoczyn

Fare una genovese con il tipo di carne che più piace (non daremo la ricetta della genovese perché anche gli imbecilli la conoscono)

Mentre questa cuoce porre sulla sua stessa  pentola  un recipiente adatto per la cottura a vapore – uno scolapasta di metallo fa benissimo l'affare -

Nel suddetto recipiente porre un cavolo verde - da alcuni chiamato verza – tagliato in quattro parti

Quando la genovese sarà pronta porre in ogni piatto una parte di cavolo e una parte di carne entrambi più o meno coperti con qualche cucchiaiata di salsa genovese

Accompagnare il tutto con pane napoletano detto “cafone” – scorza consistente, mollica saporita e giustamente aerata  - , un rosso conero - corposo ma non troppo -  e un po' di silenzio

tutte le ricette
 

sabato 20 agosto 2011

IL CORO DEI MERLI DELLA FORESTA NERA SI PRODURRA ALLE SETTE

Il tedesco è amante della natura, ma se ne fa il concetto di una grandiosa arpa gallese. Egli si interessa molto del proprio giardino. Pianta sette rose sul lato nord e sette sul lato sud; se non crescono tutte delle stesse dimensioni e della stessa forma se ne cruccia al punto di perdere il sonno. Lega ciascun fiore a un bastoncino. Il fiore non fa più lo stesso effetto alla vista, ma lui ha la soddisfazione di sapere che il fiore c'è e si comporta bene.
Nel centro geometrico del prato, che talvolta è grande quanto una tovaglia e, in generale, è cintato, viene posto un cane di porcellana. I tedeschi amano moltissimo i cani ma, per lo più, li preferiscono di porcellana. Il cane di porcellana non scava buche nel prato per seppellirvi gli ossi, e non butta per aria un'aiuola con le zampe posteriori. Dal punto di vista tedesco, è il cane ideale. Sta dove lo si mette e non è mai dove non dovrebbe essere. 
A una data fissa, in autunno, i tedeschi puntellano con paletti i loro fiori e i loro cespugli e li coricano al suolo, coprendoli, con stuoie cinesi; poi, ad un'altra data fissa, in primavera, li scoprono e li rimettono in piedi. Se capita un autunno eccezionalmente mite o una primavera eccezionalmente tardiva, tanto peggio per gli sfortunati vegetali. Nessun autentico tedesco ammetterebbe che l'organizzazione venisse scompigliata da una cosa irregolare cone il sistema solare. Nell'impossibilità di disciplinare il tempo atmosferico, il tedesco lo ignora.
L'albero preferito dei tedeschi è il pioppo: la gente di altri paesi disordinati può cantare la bellezza della quercia nodosa, del castagno dai rami dolcemente protesi, o dell'olmo ondeggiante. Per il tedesco queste piante caparbie e scarruffate sono un pruno nell'occhio. Il pioppo cresce dove lo si pianta e come lo si pianta. Non ha idee personali. Non sente il bisogno di allargare i suoi rami né di ondeggiare. Si limita a crescere dritto e slanciato, come si conviene a un albero tedesco; perciò, gradatamente, i tedeschi vanno sradicando tutti gli altri alberi e li sostituiscono con pioppi.
Il tedesco è amante della campagna ma la pensa come quella signora che avrebbe preferito il selvaggio "un pò più vestito". Il tedesco cammina volentieri nel bosco...per andare al ristorante. Ma il sentiero non deve essere troppo ripido, deve essere fiancheggiato da un canaletto in muratura per lo scolo delle acque e, ogni venti metri, deve esserci una panchina su cui riposare intanto che si terge il sudore della fronte; infatti, non passerebbe per la testa a un tedesco di sedersi sull'erba, come a un vescovo inglese non passerebbe per la testa di fare capriole.
Al tedesco piace ammirare il panorama dalla vetta di un monte, ma vuole trovare lassù una lapide che gli dica che cosa deve guardare, nonché una tavola e una panca per potersi sedere e consumare la frugale merenda a base di birra e panini ripieni, che ha avuto cura di  portare con sé. Se poi gli riesce di trovare attaccato a un albero un avviso della polizia che gli proibisce di fare questo o quello, ne trae un senso di benessere e maggior sicurezza.
Insomma , in Germania non si usa fare panegirici sulla natura allo stato selvaggio. in Germania la natura deve comportarsi bene e non dare cattivo esempio ai bambini. Un poeta tedesco che vedesse delle acque scendere, come quelle che scendono a Lodore, secondo la assai poco esatta descrizione di Southey, sarebbe troppo scandalizzato per sostare e scrivere su di esse versi illetterativi. Correrebbe via subito e farebbe un immediato rapporto alla polizia, e allora  le acque dovrebbero finirla una volta per tutte di mugghiare e spumeggiare. 
"Insomma, che cosa succede qui?" direbbe in tono severo, alle acque, la voce delle autorità tedesche. "Noi non possiamo tollerare cose simili. Scendete in silenzio, diamine! Dove credete di essere?".
E il consiglio municipale del luogo fornirebbe alle acque tubazioni di zinco, canali di legno e qualche scala a chiocciola, mostrando loro come si deve scendere, alla tedesca.
E' davvero un paese ordinato, la Germania.

In Germania la maggior parte delle follie e dei peccati umani passa in seconda linea e diviene insignificante di fronte all'enorme nequizia di chi cammina sull'erba. In Germania, da nessuna parte, in nessuna circostanza, per nessun motivo, si deve camminare sull'erba. L'erba in Germania è una sorta di deità. Mettere i piedi sull'erba tedesca è un sacrilegio più grave che eseguire una danza scozzese sul tappeto da preghiera di un maomettano. Persino i cani rispettano l'erba tedesca. Nessun cane tedesco si sognerebbe di metterci sopra una zampa. Se vedete un cane che fa la capriole sull'erba potete giurare che è il cane di qualche miscredente straniero. In Inghilterra, quando si vuole che i cani non entrino in un dato luogo, lo si cinta di reti metalliche alte un paio di metri, con tanto di pali puntellati e filo spinato in cima. In Germania, invece, pongono nel bel mezzo del luogo un cartello con la scritta "Hunden verboten", e un cane che abbia nelle vene sangue tedesco guarda quel cartello e se ne va. 

Nei parchi tedeschi, i diversi viali sono destinati alle diverse categorie della comunità, e nessuno può metter piede sulla strada altrui, se non a rischio della propria libertà e delle proprie finanze. Ci sono sentieri speciali per "ciclisti",  e sentieri speciali per "pedoni", viali per "cavallerizzi", strade per veicoli leggeri e strade per veicoli pesanti; Vialetti per "bambini" e per "signore sole". Il fatto che non vi siano spazi particolari per "uomini calvi" e per "donne moderne" ha sempre rappresentato ai miei occhi una grave omissione. 
Nel Grosse Garten di Dresda, mi imbattei un giorno in una vecchia signora che se ne stava smarrita e perplessa nel punto di convergenza di sette viali. All'imboccatura di ciascuno di essi, a far da sentinelle, c'era un palo che vietava il transito a tutti eccetto le persone alle quali quel viale era destinato.
"Scusi se la disturbo" disse la vecchia signora dopo aver accertato che parlavo inglese e leggevo il tedesco, "Le dispiacerebbe dirmi che cosa sono e dove devo andare?"
La squadrai attentamente. Giunsi alla conclusione che era una "persona adulta" nonché una "pedona" e le indicai il viale. Lo guardò e parve delusa. 
"Ma io non voglio andare da quella parte. Non potrei prendere questo viale?"
"No, per carità, signora!" risposi "Questo viale è riservato ai bambini"
"Ma io non farei niente di male" soggiunse la signora sorridendo. A dire il vero non mi sembrava il tipo di vecchia signora capace di fare del male ai bambini.
"Signora" dissi "se dipendesse da me, le consentirei subito di andare per quel viale anche se all'altro capo ci fosse il mio primogenito, ma non posso fare altro che metterla al corrente delle leggi di questo paese. Per lei, persona adulta, avventurarsi per questo viale significa pagare una multa, se non finire in prigione. Ecco qua il suo viale, contrassegnato da un cartello inequivocabile: "Nur fur Fussganger"... viale riservato ai pedoni...e se vuole un consiglio, si avvii alla svelta da quella parte; non è permesso nemmeno star qui fermi a pensarci su".
"Ma quel viale non conduce dalla parte dove io voglio andare" insistette la signora.
"Conduce dalla parte dove lei dovrebbe voler andare" risposi, e ci separammo. 
Nei parchi tedeschi, ci sono panchine speciali, che portano la scritta "soltanto per adulti" (Nur fur Erwachsene), e il bambino tedesco, anche se ha voglia di sedersi, leggendo quel cartello passa oltre e va a caccia di una panchina sulla quale ai bambini sia permesso di riposare; là si siede stando ben attento a non toccare il legno con le scarpe infangate. Vel'immaginate una panchina in Regent's Prak, oppure in Saint James Park, su cui spiccasse la scritta "Soltanto per adulti"? Tutti i bambini nel raggio di cinque chilometri arriverebbero di corsa ad occuparla e cercherebbero di sloggiare gli altri che vi fossero già seduti. E nessun "adulto" riuscirebbe mai ad arrivare nemmeno in vista della panchina a causa della gran folla di bambini.

Tutto questo non significa che il paterno governo tedesco trascuri i fanciulli. Nei parchi e nei giardini pubblici tedeschi vi sono luoghi (Spielplatze) riservati all'infanzia; ognuno è munito di un mucchio di sabbia, e il bambino tedesco vi può giocare a sazietà, e far torte di fango e castelli di sabbia. Per il bambino tedesco una torta fatta con un fango che non sia quello sarebbe una torta immorale e non gli darebbe alcuna soddisfazione.

Un altro oggetto col quale si riesce ottimamente a procurarsi emozioni in Germania è la comune carrozzella per bambini. A quel che si può fare o non si può fare con un Kinderwagen, come lo chiamano laggiù, sono dedicate pagine e pagine nei codici tedeschi; dopo aver letto quelle pagine, si deve concludere che l'uomo capace di spingere una carrozzella per bambini in una città tedesca, senza infrangere la legge, sarebbe tagliato per la carriera diplomatica. Non si può andare a passo di lumaca con una carrozzella per bambini. Né si può andare troppo di fretta. Non si deve intralciare il cammino con una carrozzella, e se qualcuno si trova sulla sua strada, è la carrozzella che deve togliersi di mezzo. Se ci si vuol fermare bisogna andare nel luogo appositamente designato, dove le carrozzelle si possono fermare, e quando si arriva là, ci si deve fermare. Non si può attraversare la strada con una carrozzella, e se voi e il bambino abitate dall'altra parte della strada, peggio per voi. Non dovete lasciare la vostra carrozzella da nessuna parte, e soltanto in certi luoghi ve la potete portare dietro. Direi che, in Germania, chi porta in giro una carrozzella per bambini, si può procurare tante grane, da averne abbastanza per un mese. Qualunque giovane inglese che volesse attaccar briga con la polizia, otterebbe magnificamente lo scopo andando in Germania e portando con sé una carrozzella per bambini.

In Germania è proibito lasciare aperta la porta di casa dopo le dieci di sera, ed è proibito suonare il pianoforte dopo le undici. In Inghilterra, non mi è mai capitato di aver voglia di suonare il pianoforte e nemmeno di indurre qualcuno a farlo dopo le undici di sera. Ma quando mi sento dire che non devo assolutamente suonare è un'altra cosa. Quando ero in Germania, non mi veniva in mente il pianoforte prima delle undici di sera, ma, dopo, me la sarei goduta un mondo ad ascoltare la "preghiera di una vergine", oppure la sinfonia di "Zampa". Per il tedesco amante della legge, invece, la musica, dopo le undici di sera, cessa di essere musica; diventa un misfatto e, come tale, non gli da alcuna soddisfazione.


venerdì 10 giugno 2011

ACROSS THE RIVER



         That was the day before yesterday. Yesterday he had driven down from Trieste to Venice along the old road that ran from Monfalcone to Latisana and across the flat country. He had a good driver and he relaxed completely in the front seat of the car and looked out at all this country he had know when he was a boy.
         It looks quite differently now, he thought. I suppose it is because the distances are all changed. Everything is much smaller when you are older. Then, too, the roads are better now and there is no dust. The only times I used to ride through it was in a camion. The rest of the times we walked. I supposed what I looked for then, was patches of shade when we fell out, and well in farms yards. And ditches, too, he thought. I certainly  looked for plenty to ditches. 
          They made a curve and crossed the Tagliamento on a temporary bridge. It was green along the banks and men were fishing along the far shore where it ran deep.

Hemingway

giovedì 9 giugno 2011

mercoledì 8 giugno 2011

GALILEO GALILEI

(1564 - 1642)

 Tutte le mattine, verso le sei, sul Lungarno di Pisa, il fornaio Gaddo Tarabella fermava il suo carrettino di pane odoroso e croccante e sostava sull'argine del fiume con i gomiti appoggiati su un muretto. Era sempre vissuto li e conosceva quel panorama a memoria. 
Ma ogni volta rimaneva incantato e stava interi quarti d'ora a guardare Campo dei Miracoli, dall'altra parte dell'Arno.
"Che spettacolo!" pensava immancabilmente.
"Quanto mi garba! Ma come cazzo è venuto in mente a questi qui di costruire il Battistero, il Duomo, e quella Torre con quella forma cosi diversa dagli altri campanili fuori dal centro della città? Un vero e proprio lusso. L'è di sicuro che in mezzo alle case non avrebbero sortito questo effetto miracoloso!".
Poi si rialzava, prendeva il carrettino, faceva dieci metri e si fermava di nuovo, si voltava e guardava la Torre:
"Speriamo che non caschi. Certo che cosi l'è proprio ganza!"

Una mattina si e una no, alla stessa ora, passava, su una canoa a due remi, un giovanotto vestito da studente: corsetto di velluto nero, maniche a sbuffo, pantaloni bianchi e neri molto aderenti - un po' consumati alle ginocchia - e scarpe a punta di vitello scamosciato. In testa, una specie di basco esagerato.
Non si salutavano mai e ogni volta Gaddo, senza guardarlo negli occhi, ammirava esterrefatto l'enorme "pacco" sotto i pantaloni. Il nome dello studente era Galileo Galilei, abitava nel quartiere della Lupa e studiava astronomia e astrofisica all'Università di via Diotisalvi al numero 2.
Era solito fermare la canoa esattamente sotto il muretto sul quale si appoggiava il fornaio, perché quello era l'unico punto del fiume dal quale si poteva vedere la Torre, e, dietro l'argine, una parte del Campo dei Miracoli.
Anche lui rimaneva incantato a guardare, quasi ipnotizzato, poi, come se si risvegliasse, riprendeva a vogare con forza e si dirigeva verso l'imbarcadero dell'Università.

Galileo era lo studente più brillante di tutto l'istituto e, nelle sue discipline, uno dei migliori d'Europa. Teneva una corrispondenza fitta fitta e in inglese con un astronomo tedesco che insegnava al Trinity College di Oxford, il dottor Keplero. Il loro argomento preferito? Dialoghi sui sistemi tolomaico e copernicano.
Intorno a mezzogiorno, mezzogiorno e mezzo, - vuoi per la vogata del mattino, vuoi per l'impegno mentale che gli studi richiedevano, vuoi per la corrispondenza incessante con il dottor Keplero -, Galileo non ci vedeva più per la fame.
Era alto e robusto e mangiava come una bestia. Usciva dall'istituto corricchiando da vero sportivo e andava a pranzo all'osteria La buca dell'orso. Era anche molto simpatico, sempre sorridente, e salutava tutti quelli che incontrava. L'unico al quale in sei anni non aveva rivolto cenno era Gaddo il fornaio.
Quando Galileo entrava alla Buca dell'orso, la padrona Maddalena Torchiati e le giovani cameriere non riuscivano a guardarlo negli occhi: tutte a fissare quel "pacco" smisurato. C'era anche un ammiratore uomo, Franco Taddei, che a Pisa chiamavano "il Bucaiolo" per le sue note tendenze omosessuali. Insomma, nonostante la cultura straordinaria, quel giovane scienziato era famoso e ammirato in tutta Pisa per quella che potremmo chiamarla un'anomalia: il "pacco".
In realtà quel volume ipertrofico era un inganno: Galileo aveva due enormi testicoli rossastri dovuti a una rara malattia, l'idrocele gigante, e un pene cortissimo che un ventre da malato di fegato, nonostante le vogate mattutine sull'Arno e le corsette dall'Università all'osteria, faceva scomparire in mezzo al sacco dei testicoli in un buco inquietante.
Forse proprio a causa di questa curiosa anomalia morfologica, non aveva mai avuto una relazione normale con le donne. Era un bell'uomo ed era molto intelligente, di donne ne avrebbe avute finché voleva, ma non era attratto da bacini larghi, seni abbondanti, bei denti, capelli vaporosi, occhi azzurri.
All'età di ventisei anni Galileo aveva cominciato a frequentare una nobile fiorentina sposata a un ricco commerciante pisano, Tino Galimberti, uomo di una stupidità imbarazzante. Lei si chiamava Lucrezia Tornabuoni. Aveva una voce profonda, da uomo, poco seno, mani da pugile, era molto spiritosa e intelligente e mostrava una adeguata peluria alle labbra. Nacque una lunga relazione. Fino ad allora Galileo non aveva mai provato un orgasmo con una donna, anche se raccontava di averne avuti parecchi. Con Lucrezia accadde il miracolo. Un pomeriggio, in via del Fante, nel bellissimo palazzo della nobildonna - il marito era a Prato -, Lucrezia lo prese per mano e con voce da facchino gli disse: "Vieni". Lo condusse nel bagno, davanti allo specchio veneziano e gli abbassò i pantaloni. Lei non portava mutande. "Chinati" gli ordinò. "E masturbati a due mani." Galileo si abbassò incredulo e a tradimento lei gli infilò nell'ano una carota tiepida lunga diciannove centimetri. La relazione andò avanti per parecchi anni. Passarono dalle carote ai cetrioli unti nell'olio toscano, fino ad arrivare ad un nero senegalese che Lucrezia aveva fatto entrare in camera all'insaputa di Galileo.

Era una splendida giornata di sole e, alla Buca dell'orso, Galileo stava sbranando un cosciotto di agnello al forno. All'improvviso entrò il rettore dell'Università, Guido Calamai, batté le mani e disse: "Silenzio, per favore! Ho una grande notizia". Estrasse una pergamena da una borsa di tela rossa. "Il rettore capo dell'Università di Padova mi chiede, in quanto titolare della cattedra di astronomia, un nostro amatissimo studente. Il suo nome è...il suo nome è..."
"Sono io," disse Galileo alzandosi.
Diede un ultimo morso al cosciotto d'agnello e buttò l'osso per terra. Le cameriere lo abbracciarono, e cosi fece anche Franco Taddei, che con la mano sinistra gli strinse il "pacco".
"Mi molli il pacco, per favore" sussurrò Galileo con molta dolcezza. "Magari ci vediamo in privato un'altra volta"
"Ma come l'hai saputo, scusa?" Doveva essere un segreto" chiese il rettore.
"Me l'ha scritto venti giorni fa da Oxford il dottor Keplero."

Il giorno prima della partenza, il futuro professore di astronomia dell'Università di Padova, si fermò con la canoa al solito posto.
"Questa vista mi mancherà" pensò. Istintivamente alzò il viso e incontrò quello di Gaddo il fornaio. Rimasero a guardarsi in silenzio.
"Complimenti, signor professore" disse Gaddo con gli occhi umidi.
Commosso, Galileo non riusci a rispondere.

Galileo volle fare il viaggio fino a Padova parte in barca e parte a cavallo. Glielo avevano detto tutti che era una stronzata ma lui era testardo come un mulo.
La prima tappa a cavallo fino a Pavia durò quattro giorni, una faticaccia, ma il tempo fu magnifico. Peccato che l'agenzia di Pisa che aveva organizzato il viaggio non avesse prenotato locande, cosicché Galileo fu costretto a passare le notti nelle stalle con i cavalli. Inoltre si ingozzò con dodici chili di agnolotti al ragù e con quattro salami di Varzi.
Il tragitto di sei giorni lungo il Po fino a Occhiobello Polesine fu un disastro. Pioveva, le barche sulle quali Galileo viaggiava avevano le tende strappate dal vento e non c'erano ombrelli. In compenso, si strafogò di lucci fritti e trote bollite.
Anche l'ultimo tratto, dal Delta padano a Padova, era previsto che si facesse a cavallo. Al posto del cavallo, però, gli organizzatori gli fecero trovare un mulo lentissimo. Galileo si incazzò come un toro:
"Questa è una presa per il culo! La vostra non è un'agenzia seria!".
Con quel mulo, i cinque giorni previsti diventarono nove, l'animale si trascinava pigro nell'odorosa pianura veneta e Galileo, in groppa, dormiva profondamente. Quando furono in vista dei Colli Euganei, Galileo era ormai in preda a manie di persecuzione, visioni di arcobaleni e miraggi.
Entrando ad Arquà Petrarca, ebbe la certezza di vedere papa Paolo V che chiedeva l'elemosina. In realtà era Nane Sgorlon, un vecchio alcolizzato con una bottiglia di Roboso in mano. Nane gli offri una pompata a canna: dopo giorni di digiuno l'effetto del Raboso fu devastante.

Galileo arrivò a Padova con diciannove giorni di ritardo, alle due del mattino. Era completamente ubriaco, sghignazzava e cantava: "Quant'è bella Pisa vista dalla barca!".
Il rettore magnifico, Daniele Zambon, lo aspettava in Piazza della Ragione vestito in pompa magna. Intorno a lui, il Gran Consiglio dei professori, in mantelli di velluto rosso ed ermellini bianchi. Galileo fece un rutto impercettibile: "Scusate il leggero ritardo".
Inciampò in una mela cotta della Val di Non che il professore di Buone Maniere, Philip Zuker, aveva buttato per terra al suo ingresso e andò giù a pelle di leone. Lo portarono a braccia in aula magna. Continuava a ridere sgangheratamente come uno scemo e ogni tanto canticchiava.
In aula magna c'erano millequattrocentoventi studenti addormentati. Daniele Zambon sali sul palco, apri le braccia a fatica sotto il pesantissimo mantello di velluto rosso ed ermellino e disse:
"Illustrissimi colleghi e allievi di questa forda... fodramen ... fordamen ... tale...".
"Unica!"
"No, non è cosi."
"Famosa!"
"No, no, no!"
"Impalpabile?" suggeri il bidello.
"Fondamentale!" disse uno studente gobbo dalle ultime file. "Bravo! Farà molta strada, lei! Sono fiero di presentarvi l'astro nascente dell'astronomia italiana: Galilio..."
"Ga-li-le-o" lo corresse l'assistente.
"Galileo Galilei."
Galileo entrò saltellando come una ballerina russa.
"Non faccia il cretino!" ringhiò Daniele Zambon. "Non applaudono lei ma quella mostruosità che ha sotto i pantaloni!"

Dopo quell'esordio abbastanza mediocre, il genio di Galileo esplose in tutto il suo fulgore. Dopo un anno di studi, scopri che le fasi lunari erano causate dall'ombra della Terra. Costrui un cannocchiale artigianale con il quale nelle giornate senza luna mostrava ai suoi studenti le quattro lune di Giove. Per queste dimostrazioni aveva fatto allestire un osservatorio rudimentale a Monselice, sui Colli Euganei. Scrisse un trattato che mandò in copia a Keplero, dove si dimostrava che anche Venere ha le sue fasi.
Nei suoi saggi scrisse chiaramente che la Terra è rotonda, o meglio, a forma di arancia schiacciata ai poli a causa della rotazione intorno al proprio asse, che è leggermente inclinato e provoca cosi l'alternanza stagionale. Sosteneva anche che la Terra si muove intorno al Sole e non è immobile al centro dell'Universo. Enunciò le leggi del moto e della resistenza dei corpi. E in campo matematico anticipò il calcolo infinitesimale.

A Padova ebbe una relazione molto felice, soprattutto sessualmente, con la contessa Clara Mocenigo, nobile veneziana andata in sposa a un banchiere di Padova, che in realtà faceva l'usuraio. Era anche un imbecille e un finto benpensante, che diceva in giro che la Terra era immobile e piatta come una frittata di cipolle. Come Lucrezia Tornabuoni, anche la Mocenigo aveva una voce da uomo, era molto intelligente e aveva intuito subito come andava manovrata la sessualità di Galileo. Gli riempi la casa di carote d'inverno e di cetrioli d'estate.

Galileo godeva di una certa protezione poiché a Roma aveva un amico fraterno, il cardinale Barberini, e per molto tempo fu lasciato in pace. Il giorno stesso dei funerali di Barberini, che nel frattempo era diventato papa, il Consiglio dei Cardinali convocò Galileo a Roma. Venne pregato di portare con sé tutti i suoi libri, gli scritti e il cannocchiale. Lui era felice: il suo momento di gloria, pensava, era arrivato. In Vaticano gli dissero che non avevano trovato un alloggio degno e che si sarebbe potuto accomodare, temporaneamente, nel palazzo della Santa Inquisizione.
Gli misero a disposizione una carrozza e Galileo visitò le stanze di Raffaello, il Colosseo, e il Giudizio Universale di Michelangelo nella Cappella Sistina, che lo entusiasmò sopra ogni altra cosa. Tornato al palazzo dove alloggiava trovò la stanza completamente vuota. Scomparsi i libri, le penne, le carte. Sparito anche il famoso cannocchiale. Erano rimaste una branda e una candela. Il giorno dopo era scomparsa anche la candela e lo fermarono sulla porta mentre stava uscendo per una passeggiata.
"Spiacenti, oggi cominciano gli interrogatori".
Lo condussero nell'aula del tribunale. Era vuota e senza una sedia. Galileo aspettò pazientemente due ore. Poi entrarono gli inquisitori, che lo trattarono con grande educazione e rispetto.
"Come va, Galileo?"
"Benino ... grazie"
"Non come stai andando tu! Come stanno andando i tuoi studi e le tue ricerche! Abbiamo letto tutte le cose che hai scritto negli ultimi quindici anni.."
"E allora?"
"Tu sai, Galileo, che la nostra cultura si fonda sulle verità dimostrate e sui dogmi di Santa Romana Chiesa. Sono i pilastri della nostra felicità presente, passata e futura. Tu capisci che se qualcuno cerca di abbatterli mette in pericolo la felicità di tutti. Compresa la tua."
"Eccellenza, io non avevo questa intenzione"
"Che cosa ti muove, la vanità? La pura voglia di acquisire un po' di notorietà? Anche in Inghilterra? Abbiamo letto le lettere che hai scritto a Keplero"
"Solo un incosciente, un pericolosissimo delinquente può macchiarsi di un grave delitto come l'eresia!" disse un domenicano. Sai qual'è il castigo che spetta agli eretici?"
La mattinata fini li perché Galileo svenne.

Si svegliò nella sua stanza, nel buio più completo. Si misurò il polso, aveva delle inquietanti extrasistole atriali. Al posto della lingua, una babbuccia turca. Cercò di riprendere sonno, ma irruppero quattro energumeni che lo costrinsero ad alzarsi e lo strattonarono lungo il corridoio fiocamente illuminato.
"Ma che succede, dove andiamo?" Non gli risposero.
"Sapete mica l'ora per piacere? Quando si cena?"
Uno dei quattro gli sparò un cazzotto tremendo nello stomaco che gli mozzò il fiato, poi lo scaraventarono nell'aula del Tribunale.
Dopo aver aspettato in piedi per mezz'ora, Galileo si appisolò.
"È cosi che si accoglie il tribunale di santa Romana Chiesa?" L'Inquisitore era entrato all'improvviso.
"Mi sono confuso....mi scusi Eccellenza"
"Non fare lo spiritoso. Allora, Galileo? Che cosa ci dici? Sei pronto a mettere per iscritto che ti sei inventato tutto solo per il gusto di ben figurare con gli studenti di Padova e con quel gruppo di delinquenti di Oxford?"
"Signori dottori, io non mi sono inventato niente! E poi non sono il solo a pensarla cosi! Posso chiamare a testimoni scienziati straordinari come Halley, sapete, quello che ha visto la famosa cometa dei Re Magi? E anche Keplero, Copernico e molti altri. Grandi filosofi greci come Parmenide, Democrito, Eraclito di Efeso, quasi duemila anni fa hanno scritto le stesse cose che voi dite frutto della mia mente malata"
"E tu lo sai, Galileo, che il tuo ammiratissimo dottor Keplero è dovuto tornare a Praga precipitosamente perchè gli hanno bruciato viva la madre accusata di stregoneria?"
"Vi stupite ancora dell'ignoranza e della crudeltà dei nostri contemporanei? Quelle che voi chiamate fasi lunari sono semplicemente dovute all'ombra del nostro pianeta. La Terra non è immobile, non è piatta: è tonda, e gira con altri pianeti intorno al Sole. Ogni pianeta ha una propria luna simile alla nostra. Posso dimostrarvelo! Se mi restituite quell'affare un po' strano che ho portato da Padova, vi farò vedere le quattro lune di Giove!"
Se ne andarono via tutti senza dire una parola. Lo lasciarono li per terra come una pantegana morente.

Gli cambiarono stanza, un buco buio in un orrendo e umido sotterraneo. Ogni tanto si sentivano i fruscii dei topi che nuotavano sul pavimento. Lo lasciarono li a marcire molto a lungo.
Da uno spioncino una mano gli passava un pezzo di pane secco e una ciotola di acqua rossastra. L'ansia lo faceva respirare male e pian piano la scarsa ossigenazione del cervello spegneva la sua straordinaria intelligenza.
In quei mesi di buio, Galileo continuò a sperare in un'apertura della porta: avrebbe significato altri interrogatori, è vero, ma anche luce e persone alle quali esibire la sua prodigiosa memoria, l'enorme cultura e la capacità mentale.
Ma quelli sapevano fare bene il proprio mestiere e non lo torturarono mai fisicamente: sarebbe morto subito. In sua presenza preferivano parlare dell'ignobile reato di eresia e ricordargli come finivano abitualmente quei processi: un rogo pubblico, popolani urlanti e un'agonia orrenda.

Dopo diversi mesi, lo portarono di nuovo nell'aula del Tribunale. Gli inquisitori avevano gli occhi bassi.
"Scusate la mia curiosità," disse Galileo, "ma come stanno andando le mie cose? Io credo di avervi dimostrato, in questi lunghi mesi, che mi sono limitato a pensare e che non ho mai cercato di imporre ad altri una nuova visione del mondo. È vero, ho usato eccessivamente la libertà di pensiero, che dovrebbe essere il diritto più nobile dell'Homo sapiens, ma da un punto di vista morale vi giuro che ho sempre tenuto un comportamento ligio e fedele al diritto canonico. Non mi sono mai permesso di trasgredire ciò che prescrivono le vostre leggi."
Lentamente, l'Inquisitore tirò fuori da un cassetto quattro cetrioli e due grosse carote cotte a vapore.
"Che c'è, Galileo? Qualcosa non và?" L'Inquisitore giocherellava con gli ortaggi come un saltimbanco da circo. "Non hai più voglia di parlare? Questi che abbiamo trovato a casa tua a Padova dovrebbero dimostrare che sei un vegetariano puro? O ci stai nascondendo qualcosa che il diritto canonico condanna con il fuoco dell'Inferno?"
Galileo si afflosciò sul pavimento di marmo del Tribunale come un coniglio disossato.

Passarono trenta giorni, al termine dei quali lo gettarono in un pozzo. Durante il soggiorno nel pozzo, continuarono a torturarlo voci provenienti dall'esterno e amplificate dall'eco.
"Pare che stiano preparando un rogo per uno che ha fatto largo uso di cetrioli e carote sbollentate"
"Quand'è che bruciano quello dei cetrioli?"
"Certo che morire bruciati vivi solo per essere stati carotati deve essere una morte terribile e stupida!"
"Ma lo sapete che stanno accatastando molta legna dalla parte del Pantheon? Ci sarà qualcosa di grosso. Sembra sia quello dei cetrioli. È uno che dice in giro che la Terra non è una frittata di cipolle."
Durante la notte della Candelora, Galileo si arrese:
"Non ce la faccio più! Portatemi una pergamena, firmo anche in bianco. Avete ragione voi, avete mille volte ragione voi!" Fece una lunga pausa, e quasi in un soffio aggiunse: "Eppur si muove".
Sulla parete del pozzo si apri una strana porta di legno. In quei lunghissimi giorni, Galileo non si era mai accorto di quell'apertura. Illuminato da una lanterna, apparve il capo dell'Inquisizione con due domenicani:
"Cos'hai detto?"
"Non sono stato io, lo giuro. C'era uno, prima, vestito da demonio .... viene qui tutte le notti. Abbiate pietà, quel maledetto mi perseguita. Dice che sono dalla parte della verità, e mi invita a non avere paura se voglio essere felice. Datemi subito l'abiura, firmo tutto quello che volete"
Gli consegnarono una pergamena.
"Vi spiace se firmo con una croce?"

Dopo un mese lo spedirono all'Osservatorio di Arcetri. Lo condannarono a rimanerci fino alla morte. Non gli restituirono i suoi scritti, né le lettere a Keplero, né i libri, né il cannocchiale che un domeniano di nome Sirio Cabelli fece sparire. Dopo parecchi anni, un nipote, Toni Cabelli, depositò la scoperta a una consorteria di Arti e Mestieri di Firenze: i suoi eredi fondarono un opificio che chiamarono Fabbrica di cannocchiali Galileo Galilei e diventarono molto ricchi.
Ad Arcetri Galileo veniva perquisito spesso, e quando chiedeva una buona zuppa di carote sghignazzavano. Gli consentirono di portare con sé solo la pergamena arrotolata della sua abiura.. Non aveva nulla da leggere e ogni tanto ci dava un'occhiata. "io, Galileo Galilei, sono un autentico pezzo di merda, perchè non mi rendo conto che la Terra è piatta e che ha la forma di una grande frittata di cipolle, che però non si può mangiare perché è opera di Dio. Ed è immobile al centro dell'Universo".

Una notte d'estate illuminata da una magnifica luna quasi piena, Galileo si trascinò a sedere sotto una finestra aperta e respirò profondamente. Non c'era odore di cipolla fritta, solo profumo di magnolie e di eucalipti. La luna era enorme e sembrava vicinissima.
"Che meraviglia!" disse. "La parte più scura è l'ombra della Terra. Uno spettacolo del genere ti fa sospettare della presenza di un'intelligenza suprema!"
Se accanto a lui ci fosse stato Gaddo il fornaio avrebbe visto due grosse lacrime scendergli sulle guance.

Soltanto trecentocinquanta anni dopo, un papa straniero si scusò pubblicamente sulla Piazza San Pietro:
"In fondo quel poveraccio - forse - non aveva torto"
Alle sue spalle, il cardinal Ruini gli diede una gomitata.
"Volevo dire ... forse aveva ragione!"

Galileo mori a Firenze l'8 gennaio 1642, circondato da pochi allievi e quasi cieco. Fu formalmente assolto dall'accusa di eresia solo nel 1992. Un po' in ritardo. 

lunedì 6 giugno 2011

venerdì 3 giugno 2011

ATTRAZIONI

I flipper
 
Ogni bar Sport ha un flipper o due e almeno un giocatore professionista di flipper.

Il flipper funziona a gettoni, a piccoli biscotti, a rondelle, con qualsiasi oggetto rotondo, insomma, che non sia una moneta da cinquanta lire. Se nel flipper viene introdotta una moneta da cinquanta lire, esso emette un rumore strozzato, vibra per alcuni secondi e si blocca. Allora bisogna chiamare il padrone il quale tira un calcio al flipper, che subito non restituisce la moneta.

A questo momento dal fondo della sala si alza un individuo che sa tutto sui flipper. Egli chiede una chiave inglese e del filo spinato. Dopo un'ora se ne va, dicendo che in tutta la sua carriera non ha mai visto un flipper cosi, e che di sicuro c'è un errore di costruzione. Quasi sempre questi individui segano le gambe del flipper e compiono altri atti di sadismo, senza il minimo risultato.

Ma per far funzionare la macchina l'unica maniera è di introdurre una caramella da idraulico. Il flipper riprenderà a funzionare, restituendo cinquanta lire false.
Il flipper di buona qualità emette ogni mille punti degli spari fragorosi, tanto che molti clienti alzano le mani in alto. In ogni caso, il rumore del flipper puo essere agevolmente coperto da una discussione a tre sulla Fiorentina.


Il professional flipperman, o professionista del flipper, ha in media un'età di diciassette anni e si distingue per un astuccio nero che porta sempre sotto braccio. In esso tiene gli indici della mano sinistra e destra, vale a dire i suoi arnesi da lavoro. Quando si appresta a giocare, egli li tira fuori dalla custodia, li monta con tutte le cure, e poi per dieci minuti fa una ginnastica con le dita detta dello"sgraffigno", per la sua somiglianza con il gesto napoletano che indica il grattare. Quindi si attacca al flipper e comincia a giocare. Il vero giocatore, oltre che con le dita, gioca con i piedi, calciando le gambe, con la zona pubica, con la quale scuote il flipper come in un rapporto sessuale, con le palle degli occhi e con le spalle che tremano in continuazione. Normalmente resta attaccato dalle quattro alle cinque ore, ma alcuni possono resistere anche di più: in America un portoricano di quattordici anni restò attaccato dieci giorni, prima che il barista si accorgesse che era rimasto fulminato da una scarica elettrica di 20.000 volt.


Il compito del giocatore professionista è di fare record e di scriverlo sul flipper. Un flipper medio porta normalmente sulla schiena le seguenti scritte: Gianni 24.000; Aldo 34.524; sotto: balle. Nino 39.989; sotto: non ci crediamo. Gianni 65.892 - testimoni Aldo Graffi, Amos Natali (firme). Rossano 42.654.788 -alla presenza di (seguono 54 firme false).

La pesca col boero


La pesca col boero si fa partendo dalla base di un cartone da bucare. Con cento lire si fa il buco e si scopre una pallina colorata che dà diritto a un premio. Dietro al cartone sono in mostra conigli di stoffa alti come utilitarie, uova di pasqua gigantesche e mostruosi cani peluche che portano sulla schiena frane di cioccolattini. Ma nessuno a memoria d'uomo ha mai visto qualcuno vincere uno di questi oggetti. A Varese un vecchietto giurò di aver visto con i propri occhi un soldato tedesco vincere nel '44 un'oca gigante piena di caramelle, ma non venne creduto e fù bollato come arteriosclerotico.

A questa pesca è invece molto facile vincere boeri: sono boeri al liquore ma normalmente aprendoli, si scoprono avanzati strati di cristallizzazione, stalattiti, blocchi di cemento, tutto, insomma, all'infuori del liquido originario. In un boero, a Parma, un professore di liceo scopri una grotta naturale calcarea, con fiume sotterraneo, ricca di minerali sconosciuti.

La pesca al boero è molto seguita nei bar dei centri minori, dove molte persone hanno dovuto contrarre ipoteche sulla casa per potersi permettere il vizio, e da anni nutrono i figli a boeri. Il bucatore di boero, normalmente, viene gettato sul lastrico dalla sua insana passione nel giro di pochi anni e finisce intossicato da alchermes in case di cura dove passa il suo tempo a fare buchi nelle scatole di scarpe con una stecchino.

Il calcetto o (nei bar di destra) calcio balilla

Il calcetto è uno degli sport italiani più diffusi. Si tratta di un gioco nel quale, con alcuni omarini di legno, bisogna spingere la pallina nel canzino dell'avversario. Dico calzino perché quasi sempre il buco della porta avversaria è chiuso appunto da un calzino, piccolo accorgimento mediante il quale si può giocare con la stessa pallina tutto il pomeriggio. Il calcetto è uno sport faticosissimo. Il vero giocatore lo pratica quasi completamente nudo o in mutande, essendo un gioco quanto mai accaldante.

È anche rumorosissimo, specie se giocato dalle donne. La donna più calma e silenziosa, messa a giocare a calcetto, emette acuti e strilli spaventosi, viene colta da riso convulso e perde le scarpe. Gli psicologi per questo, vedono nel calcetto uno sport dalla fortissima carica sessuale (lo conferma, tra l'altro, il fatto che le donne, durante le partite, usano quasi sempre tirare gomitate nelle palle ai partner) e, per queste ragioni, appunto, lo consigliano vivamente alle coppie in crisi.

Il biliardo

Il biliardo è il re delle attrazioni di primo grado. È formato da un tavolone coperto di panno verde, da quattro bocce bianche, quattro rosse e una pallina blu. A un lato del biliardo, all'inizio del gioco, si pongono i giocatori, altri altri tre i rompiscatole. Le bocce sono di materiale duro, magnetizzate verso il centro della Terra, a cui infatti esse tentano di tornare infilandosi sotto gli armadi e nei posti più remoti. Il tavolo è perfettamente orizzontale, almeno nei primi giorni, poi tende a stabilizzarsi in uno dei seguenti tipi:
Biliardo lento, o che non corre
Molto spesso la sua lentezza è dovuta a macchie di friggione, tabacco, vino e sputi che distruggono il panno verde, dando origine a un terreno di tipo arido-desertico. Su questo biliardo le bocce procedono con grande fatica, sollevando polvere e sterpi, e solo giocatori di grande forza riescono a fare più di due sponde.
Biliardo veloce
. L'uso ha trasformato il panno verde in una specie di vetro duro. Le bocce raggiungono velocità sui 340 km orari, e spesso devono essere abbattute a fucilate nell'impossibilità di fermarle. I giocatori avvezzi a questi biliardi hanno mani leggerissime, tanto che sono costretti a farsi mettere la boccia in mano da un partner, non avendo la forza di sollevarla.
Biliardo traditore, o accidentato
. Sono i biliardi mantenuti in ambienti a temperatura non costante. Talvolta, per il freddo accessivo, raggrinziscono fino ad assumere le misure di un lavandino, oppure si riempioni di crepacci, tanto che ogni boccia deve essere accompagnata da una guida alpina. Oppure per il caldo, si imbarcano e assumono forma trapezoidale, di stella, di ottovolante, di arca di Noè.
Biliardo occupato.
È un tipo di biliardo molto comune, odiato da tutti i giocatori. Assolutamente normale sotto tutti gli altri aspetti, vi giocano due vecchietti lentissimi che non lo lasciano mai libero.
Biliardo incastrato
. È un biliardo situato in un ambiente molto stretto,cioé in una stanza occupata interamente dal biliardo. Si gioca lanciando le bocce attraverso un buco nel muro della stanza accanto.
Biliardo da passeggio ( o water-biliardo)
. È un biliardo situato all'entrata del gabinetto del bar. Mentre si gioca gli avventori lo scavalcano slacciandosi i pantaloni. Nei locali più scadenti il biliardo è situato nel gabinetto stesso, e il problema si presenta in altre forme.

Riffa

Gioco molto popolare, soprattutto nel Veneto. Si compra un numero e si aspetta, finché il primo premio non è vinto dal cugino del barista.

I giochi di carte


I giochi di carte sono, naturalmente, tanti che non possiamo qui ricordarli tutti. I tre più diffusi sono:

Il tressette. Si gioca con dieci carte a testa. Durante la partita si può dire "Busso", "Striscio", "Volo", o "Brucio" se il vostro compagno vi fa cadere la sigaretta sulla coscia. È proibito dire frasi come "Ho sette bastoni" oppure "Sono nella merda".

La briscola. Gioco molto semplice. L'avversario sbatte sul tavolo una carta , e voi dovete sbatterla più forte. I buoni giocatori rompono dai quindici ai venti tavoli a partita. È opportuno, prima di sbattere la carta sul tavolo, inumidirla con un po' di saliva.
Le carte prendono cosi la caratteristica forma a cartoccio, e la durezza di un sasso. In molti bar, per mescolare un mazzo di carte da briscola, si usa un'impastatrice. Quando la carta è abbastanza vecchia, diventa molto dura e pesante, e se non siete allenati è opportuno giocare con guanti da elettricista.

Il poker. Il poker si gioca in quattro, oppure in tre col morto, o anche meglio in tre col pollo. Per prima cosa bisogna dare le carte. Il vero giocatore compie l'azione in sei secondi con la sigaretta in bocca. Il dilettante ci mette tre minuti con la lingua di fuori. Al termine dell'operazione quasi sempre il suo compagno di destra urla perchè ha ricevuto in mano quattro carte e una cicca accesa, mentre il dilettante sta fumando il re di quadri.
Oltretutto è molto facile che il dilettante si sia dato nove carte e che due siano finite sul lampadario. Il dilettante non deve, a questo punto, farsi prendere dal panico, e soprattutto non deve commettere nessuno dei seguenti errori:

1. Fare le pile e i giochini con le fisches, e chiedere agli altri: "Chi mi da due tonde rosse per due tonde blu, che voglio fare la bandiera francese?".
2. Quando gli si chiede di aprire, non dire "Vado subito, in effetti c'è molto fumo" e spalancare la finestra.

3. Fare il rumore del motorino con il mazzo di carte durante il gioco.

4. Chiedere prima due, poi tre, poi quattro, anzi no, cinque carte e non ricordarsi più quali erano le vecchie e quali le nuove.

5. Quando sono rimasti solo in due a disputarsi un piatto grosso, scivolare alle spalle di uno e strappargli le carte di mano per vedere il punto.

6. E ancora: quando bluffa il dilettante non cerchi di darsi un contegno. Un mio conoscente, tutte le volte che bluffava, tirava ostentatamente fuori un pennello, crema e lametta e si faceva la barba fischiando. Naturalmente era nervoso e alla fine della serata si era tagliato la faccia come Frankenstein.

Non fate la faccia impassibile: molti dilettanti cercano di bloccare ogni muscolo facciale, col risultato di avere poi effetti secondari rivelatori, come grosse scorreggie, per lo sforzo. La stessa cosa vale se avete un poker. L'ideale sarebbe avere sempre lo stesso contegno tutta la serata. Un giocatore molto bravo, che conoscevo, appena si sedeva al tavolo si metteva a fare il verso della sirena dell'ambulanza, e tirava di lungo tutta sera senza pausa. Un altro giocava con baffi e naso alla De Rege, ma si tradiva perchè quando aveva un buon punto sveniva.


Il telefono


Il telefono in un bar è sempre nascosto. Vive di preferenza in spazi angusti, preferibilmente dietro una pila di casse da birra. Per trovarlo, basta entrare nel bar e puntare verso il fondo. Là, in un buco di un metro e mezzo, è appeso il telefono, quasi sempre a tre metri d'altezza.

Al telefono c 'è il telefonatore da bar, individuo dalle caratteristiche singolari, che si divide nelle seguenti categorie:

a) Sorridente continuo. Questo individuo sta con la cornetta in mano e una espressione beata sul viso. Non parla mai. Ascolta divertito per ore, talvolta annuisce con la testa. Ogni tanto vi guarda. dall'altro capo del filo, evidentemente, c'è una persona spiritosissima in grado di sostenere la comunicazione per ore da sola.
Dopo il primo quarto d'ora anche voi comincerete a sorridere per solidarietà, e a scambiare sguardi soddisfatti con il telefonatore. Per farlo contento, potete anche ridere e dire "buona questa". Dopo un'ora il telefonatore riattacca la cornetta e si allontana con un'aria preoccupatissima.
b) L'arrabbiato. È un individuo di colore rosso che urla furibonde minacce e gesticola come un pazzo, indifferente al vostro stupore e a quello degli altri avventori. Dalla cornetta viene la vocina alterata dell'interlocutore. Parla due ore e prima di andarsene via sbatte la cornetta spaccando il telefono e costringendovi a cercare un altro bar.

c) L'innamorato. telefona con la faccia contro il muro, tenendo la cornetta stretta tra le mani. Se vi avvicinate, cerca di fare il disinvolto, oppure si rannicchia in un angolo come un topo e vi fissa con odio.
Dà piccoli baci al telefono e anche carezzine. Se si crede solo, si abbandona a incredibili manovre erotiche con la cornetta, tenedo gli occhi chiusi.


Al momento dell'addio non deve assolutamente essere avvicinato. Infatti la sua ragazza non stacca la comunicazione prima che lui l'abbia chiamata "porcellina mia", e se voi siete tra i piedi e lui si vergogna, si può anche andare alle tre di notte.
L'innamorato, infatti, comincia a dire frasi tipo "Si, anch'io" "Lo sai, tanto tanto" "Si, io di più", che non accontentano la fidanzata, la cui voce sale sempre più alterara dalla cornetta. L'innamorato suda e vi guarda chiedendo pietà. Si infila per tre quarti la cornetta in bocca e sussurra un "porcellina mia" impercettibile. A questo punto, dall'altro capo del filo, esce un "Come? Non ho capito! Hai paura a dirlo?" e l'innamorato impallidisce.
A questo punto l'unica è di andare via un momento. Sentirete una specie di sussurro, poi alcune urla orgasmiche. Sfogato e sazio, l'innamorato uscirà dalla cabina del telefono, avendo salutato la sua porcellina.
d) L'appuntamentista. Anche questo è un personaggio pericolosissimo. Egli fissa per telefono un appuntamento da li a mezz'ora. Dall'altra parte del microfono parla un aborigeno australiano. Infatti, per quanto il nostro uomo si sforzi, l'altro interlocutore dimostra di non conoscere nessuna via o piazza della città, e di non essere buono a prendere neanche un tram. Dopo un'ora di tentativi il Nostro descrive all'aborigeno ottanta punti diversi del centro della città, senza riuscire a mettersi d'accordo, i due decidono di trovarsi alla stazione, sotto l'edicola dei giornali più grande.
e) L'interurbano. Questo signore si avvicina al telefono curvo con due chili di gettoni in ogni tasca, emettendo rumore di slitta natalizia. Inserisce nel telefono una prima partita di centoventi gettoni, e chiede al barista il prefisso di Sondrio. Si impossessa delle pagine gialle e comincia a sfogliarle nervosamente nei due sensi per un'ora. Bestemmia e straccia.
Quando ha trovato il prefisso, preme per errore il tasto di recupero e viene investito da una valanga di gettoni che rotolano ai quattro angoli del bar. Il telefonatore ribestemmia e ricarica l'apparecchio. Si impossessa dell'elenco di Firenze e cerca per due ore il numero, mentre a intervalli regolari un gettone schizza dalla buchetta e lo colpisce tra gli occhi. Il telefonatore telefona al centralino e, dopo un'ora, ottiene il numero, ma ha già scordato il prefisso. Riprende le pagine gialle e chiede altri duecento gettoni.

Poi:

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La bacheca


La bacheca del bar contiene innanzitutto la formazione del Bologna a colori. Poi il manifesto della partita di domenica, il tabellone dei risultati e una foto del barista a braccetto con Bulgarelli.
Segue il manifesto ciclostilato di una gara di pesca, dove non si riesce a leggere assolutamente niente tolto un gigantesco "Primo premio due prosciutti".
Poi c'è il manifesto di una gara di briscola, dal contenuto piuttosto oscuro per chi non è dell'ambiente e che dice all'incirca:
CRAL FERROVIERI
Da martedi 26 a giovedi 28:
torneo
di briscola a coppie.
Gioco classico
segni alla bolognese,
vietato il gangino, il linguino e l'occhio di pollo,
Prima giornata:
Biavatti-Zorro contro il Conte e Ciuccia
Zatopek-Brufolo contro Gnegno-Stambazzein
Togliatti-Filot contro Tex Willer e lo Spiffero

Testa d'legn-Tortellone contro il Kaiser e Mioli
(se la moglie lo lascia venire)
Baldini I-Baldini II contro Tamarindo e uno di Milano
Arbrito giudice unico Scandellari
(non quello matto)
Intervenite numerosi.

Poi ci sono le cartoline. Sono quelle che i clienti del bar spediscono agli amici per dare la prova che il viaggio è realmente avvenuto. Senza la cartolina, infatti, non è consentito dare il via alla stura delle balle.
Vengono da tutte le parti del mondo. La maggior parte dall'Est., Romania e Jugoslavia, dove secondo quanto si racconta nei bar dovrebbero esserci tre milioni e mezzo di figli di italiani ogni anno.

A seconda del tipo di spedizione attuata, portano sul retro la scritta "Che donne!" o "Che lepri!".
Sono sempre vedute notturne, con la città illuminata e una freccia con la scritta "Noi siamo qui". Seguono le firme di quaranta donne, palesemente false (una che c 'è sempre è Ursula, ma anche Ludmilla si dà da fare, qualcuna si firma anche Maria Beckenbauer).
Queste spedizioni, con equipaggiamento di duecento paia di calze, sottovesti, biro e forcine, finiscono nella maggior parte dei casi con un'unica e ininterrotta mangiata e con l'acquisto di una dotazione per sei mesi di vodka.


Altre cartoline in evidenza sono quelle delle gite di Capodanno a Parigi. Poi c'è Athos che manda una cartolina con la fontana dell'acqua renella tutte le volte che va ad Imola (distanza km 8). Una cartolina del '66 dal Sestriere spedita da Quaglia e firmata "La belva delle nevi". Una veduta notturna del Mottagrill di Cantagallo di Macci che ci fa il cameriere, e una cartolina da Lourdes di Torelli che ci ha portato la nonna paralitica e poi voleva indietro i soldi. Seguono due cartoline con gatti della morosa del fattorino e una ventina di quelle cartoline zigrinate con la giapponese che sfodera le tette a seconda del riflesso.
Poi, incorniciata, la cartolina che fece piangere Trinca. Gliela spedi una ragazza che si chiamava Brigata d'Artiglieria da Montagna e veniva da Pordenone.

giovedì 2 giugno 2011

AIDA

Lei sfogliava i suoi ricordi
le sue istantanee i suoi tabù
le sue madonne i suoi rosari

e mille mari e alalà
i suoi vestiti di lino e seta
le calze a rete

Marlene e Charlot
e dopo giugno il gran conflitto
e poi l'Egitto
un'altra età
marce svastiche e federali
sotto i fanali l'oscurità
e poi il ritorno
in un paese diviso

nero nel viso
più rosso d'amore
Aida come sei bella
Aida le tue battaglie
i compromessi
la povertà
i salari bassi
la fame bussa

il terrore russo
Cristo e Stalin
Aida la costituente
la democrazia

e chi ce l'ha

e poi trent'anni di safari
fra antilopi e giaguari
sciacalli e lapin
Aida come sei bella

venerdì 27 maggio 2011

IL MAGO BAOL RITROVA



In cui il mago baol ritrova qualcosa che aveva perduto e l'avventura diventa tosta

 
Bisogna vedere i nemici che si hanno,
non bisogna vedere più nemici di quanti se ne hanno.
(Baolian, libro II, 340,341)

Male non fare, paura non avere
(A. Hitler)


Siamo discesi per milioni di gradini di ferro, cosi mi è sembrato, e i nostri passi rimbombavano e si moltiplicavano, fino a riempire l'aria di un metallico tam-tam. La mole di René la Mucca mi precedeva ondeggiando. Fin quando il frastuono cessò e camminammo furtivi su un pavimento di linoleum. Ci accolse la luce artificiale di un giardino sotterraneo, una giungla di piante vere e sintetiche.

C'era odore di limone e azoto. Torsoloni di antiquariato stavano in agguato quà e là, verginone tronche, guerrieri invalidi, colonne mozze. Piacevoli bar-terrazza, ghiaietto, vetri fumé e dappertutto cascatelle d'acqua, pisciatine nascoste, zampilli illuminati. Una musica di vibrafono nell'aria. Un reparto sotterraneo per il relax dirigenziale. Un cielo stellato di perspex ci sovrastava.

- Il nostro contatto è qui - disse René la Mucca nascondendo una minima parte di sé dietro una palma.
- Nostro ? -
- Sono anch'io del gioco, baol, non fare il furbo. Ti devo accompagnare dal tuo Alice. È il mio compito. Poi ti arrangerai.
- C'è un piccolo problema, se dobbiamo circolare qui - dissi - sembriamo dei dirigenti?
René la Mucca esaminò con tristezza il completino domopak dalmatato che pure gli stava cosi bene.
- Non và, eh?
- Ci penso io - dissi.
Da un bar usciva un giovane managero con un vestito verde dollaro e un tesserino da Vip all'occhiello. Splendeva nel suo volto quell'intelligenza cosi libera da pregiudizi e barriere ideologiche da sembrare molto simile all'ottundimento. Lo affrontai. Gli premetti un dito sulla fronte e dissi:
- Le piacerebbe occupare la stanza del direttore generale?
- Certo che mi piacerebbe - balbettò il managero, ma....
- Niente "ma". Risponda: le piacerebbe stare dietro la suprema scrivania?
- Certo che si.
- Ebbene - dissi fissandolo in modo ipnoseduttivo col mio sguardo baol - cerchi di concentrarsi: cos'è che sta sempre dietro la scrivania, dentro la stanza del direttore generale? Glielo dico io: il ficus.
- Certo - rispose quello- il ficus, la sua pianta preferita.
- Si. Di giorno e di notte il ficus occupa quella stanza e domina la situazione. Tutti i giorni il direttore generale lo annaffia personalmente. Il ficus conosce tutti i suoi segreti. Partecipa alle sue gioie ma è immune alle sue ire. Mai un ficus è stato licenziato. I direttori passano, i ficus restano. Quale carriera è più felice, più vicina ai vertici aziendali e nel contempo priva di rischi e responsabilità?
- Voglio essere un ficus - disse il managero con gli occhi lucidi.
- Perfetto. Ora mi ascolti bene: lei è uno splendido esemplare di ficus lanceolatus. Ora si spoglierà dei suoi vestiti e si nasconderà in quel giardino tra i suoi verdi simili. Ne studierà le abitudini, la funzione clorofillare, il ricambio delle foglie, imparerà a sorbire acqua come si conviene a un ficus professionista. Dopo il corso di aggiornamento provvederemo a trasferirla nell'ufficio del direttore generale.
- Sono un ficus - proclamò il managero con un bagliore botanico nello sguardo.
Si spogliò fulmineo e si infilò tra le piante, verso la sua nuova vita. Indossai il suo vestito: ora ero un dirigente di primo livello e René la Mucca la mia guardia del corpo.
- E adesso dove si và? - chiesi.
- A una festa, capo - disse René, guardandomi ammirato.

Era una tranquilla festa di Regime. Nel mio nuovo ruolo di managero mi addentrai nella folla di gerarchetti e clarette, mentre camerieri veloci come pattinatori impollinavano di champagne ogni angolo e l'orchestra suonava "Love in Ibiza". Bell'ambientino! Ricordai subito ciò che diceva il mio maestro baol: 
Il vero baol non si annoia mai
tutt'al più si addormenta.

 
(Quanta saggezza nei nostri antichi testi!)
 

domenica 22 maggio 2011

STORIA DELLA LIBERTÀ DI PENSIERO

 

Socrate  
Caio Giulio Cesare
Gesù di Nazareth  
Cristoforo Colombo  
Girolamo Savonarola  
Giordano Bruno  
Galileo Galilei  



Che fine hanno fatto realmente  
Pitagora da Samo
Archimede  
Pietro Micca  
Maria Antonietta
Giuseppe Garibaldi
Mohandas Karamchand Gandhi  
Adolf Hitler  

Che fine potrebbero fare  
Rita Levi Montalcini  
Romano Prodi  
Silvio Berlusconi  

Che fine faremo tutti

sabato 21 maggio 2011

IL TECNICO

Il tecnico da bar, più comunemente chiamato "tennico" o anche "professore", è l'asse portante di ogni discussione da bar. Ne è l'anima, il sangue, l'ossigeno. Si presenta al bar dieci minuti prima dell'apertura: è lui che aiuta il barista ad alzare la saracinesca. Il suo posto è in fondo al bancone, appoggiato con un gomito. Lo riconoscerete perché non si siede mai e porta impermeabile e cappello anche d 'estate. Dal suo angolo il tecnico osserva e aspetta che due persone del bar vengano a contatto. Non appena una delle due apre bocca, lui si accende una sigaretta e piomba come un rapace sulla discussione. Nell'avvicinarsi emette il verso del tecnico: "Guardi, sa cosa le dico", e scuote la testa.

Il tecnico resta nel bar tutta la mattina: nei rari momenti di sosta, tra una discussione e l'altra, studia la "gazzetta dello Sport". Nell'intervallo per il pasto corre al buffet della stazione, che è sempre aperto, e lo si può vedere mentre col giornale che pende dalla tasca adesca
i pendolari cercando di attaccare bottone su Anastasi. Normalmente si ciba di aperitivi, patatine fritte e caffè, venti normali e venti hag, al giorno. Oppure fa un rapido salto a casa e mangia invariabilmente tortelloni, anzi li ingoia dicendo "Ho fretta, devo tornare in ufficio".


L'ufficio è il bar, dove il tecnico ricompare alle due meno dieci per restarvi fino all'ora di chiusura. A mezzanotte, il tecnico torna al bar della stazione, dove aspetta il giornale fino alle quattro, e accompagna a casa tutti gli amici per le ultime discussioni della giornata. Va a letto e parla nel sonno recitando classifiche fino alle sette, sette e mezzo.

Altra caratteristica del tecnico è lo sguardo: guarda sempre con un occhio chiuso per il fumo e con uno spiraglio dell'altro, rosso come brace e leggermente lagrimoso, la testa piegata da una parte. Il busto è leggermente ripiegato in avanti ad abbracciare l'ascoltatore; la mano sinistra mima; con la destra, munita di sigaretta, il tecnico vi dà continuamente delle piccole spinte, o dei colpetti sullo sterno, o vi tiene fermi contro il muro mentre vi parla.

Di cosa parla un tecnico? Di calcio, di sport in genere, di politica, di morale, di macchine, di diabete, di agricoltura, di prezzi della frutta, di sesso, di trattori, di cinema, di imbottigliamento, di spionaggio. In una parola di tutto. Quale che sia l'argomento trattato, il tecnico lo conosce almeno dieci volte meglio dell'occasionale interlocutore, anzi, dirà, è una delle cose che lo interessano fin da piccolo. Il vero tecnico suffraga le sue competenze con parentele. Esempio: se si parla di comunismo lui ha un cognato che lavora a Toggliattigrad; se si parla di pesca subacquea lui ha un fratello fidanzato da sei anni con una cernia; se si parla di edilizia, ha un cugino manovale, e cosi via. Inoltre è stato compagno di scuola di tutti i ministri dell'arco costituzionale, che spesso gli telefonano per sfoghi e confidenze.


Come parla il tecnico? Il tecnico parla in italiano leggermente modificato. Per fare qualche esempio, egli fa precedere molti termini da una a: aradio, agratis, mi amanca. Usa largamente la g: gangio, gabina. Cita largamente dal latino: sine qua non (siamo qua noi) o fiat lux (faccia lei). Usa verbi col congiuntivo tattico: se me lo dicevaste prima, anderei. Rimpasta termini inglesi: croch (cross), frobil (football). Usa termini innestati, esempio: Janich, il vecchio baluastro della difesa rossoblù (baluastro = baluardo+pilastro).

Il tecnico di calcio vive in simbiosi con un altro personaggio, che è "l'uomo col cappello". In tutti i capannelli, infatti se osservate bene, mentre al centro si trova il tecnico, leggermente defilato alla periferia c'è un uomo col cappello calato sul naso e le braccia dietro la schiena. Questo secondo personaggio sembra avere il compito di intervenire con bestialità tremende che fanno perdere le staffe al tecnico.

Benché ripetutamente invitato dal tecnico a portarsi al centro del capannello, preferisce spostarsi lungo la circonferenza parlando da punti diversi, cosicché il tecnico è continuamente obbligato a rispondergli girando in tondo.

Tutti sanno che il momento più importante per un tecnico calcistico da bar è quando, il giorno prima di una partita della nazionale, egli deve dare la sua formazione. Il tecnico, a questo punto, raduna una ventina di persone e comincia: "In porta Zoff. Terzini, Rocca e Fedele". E spiega il perché della sua scelta: Zoff è una sicurezza. Rocca è meglio di Facchetti perché li ha visti tutti e due alla televisione e Rocca gli è sembrato più in palla. Infine Fedele l'ha visto allo stadio, e correva e fluidificava.

A questo punto l'uomo col cappello interviene e dice:"Ma cosa dice. Se non sta in piedi".
Allora il tecnico racconta, una per una, le ottanta azioni di Fedele della partita precedente. Molto spesso è preparato alla bisogna e ha con sé un quaderno di appunti. Poi cita a memoria le cronache dei quattro quotidiani sportivi. Ma ecco che l'uomo col cappello, spostandosi a destra, dice dal tetto di una macchina: "Fedele ha il menisco".

Tutti allora si voltano allarmati verso il tecnico, per chiedere spiegazioni. Il tecnico li calma con un gesto della mano e passa in rassegna gli ultimi quaranta casi di menisco del campionato italiano. Spiega brevemente in cosa consiste l'operazione, anzi, se qualcuno si presta, gli taglia un pezzo di pantalone e lo opera sul marciapiede con un temperino, mostrando agli astanti la funzione dei legamenti della rotula. Oppure estrae dalla macchina un modello anatomico di ginocchio umano e lo illustra.

Quindi prosegue: "Stopper Morini, libero Burgnich, mediano sinistro Re Cecconi. Ala destra Mazzola, mezze ali Benetti e Rivera, ala sinistra Riva, centravanti Savoldi".
L'uomo col cappello appare da un tombino sulla sinistra e dice: "Savoldi? Siamo matti? Savoldi?".
"E perché?" gli viene chiesto. "Perché ha i piedi piccoli".

Allora il tecnico diventa color tecnico adirato, che è una bella sfumatura di rosso usata anche per i tailleur. Poi comincia a urlare tutti i numeri di scarpe dei centravanti italiani dal 1947, come un invasato: "Meazza 40, Piola 41, Charles 42, Pivatelli 40", dicendo che il piede piccolo, a meno che non sia porcino, non è affatto un handicap.

L'uomo col cappello ribatte: "Si, ma Savoldi ha il 39".
"E lei come lo sa?"
"Sono il suo calzolaio."
(Non è vero. Tutti gli uomini col cappello sono incompetenti, oltre che malvagi e bugiardi.)

Allora il tecnico urla: "Lei è un tecnico di serie C", che in un bar è un'offesa quasi mortale, e l'uomo col cappello replica: "Sono quelli come lei che mandano in rovina la nazionale!" e in breve tempo si azzuffano. La gente li separa. Il tecnico si allontana con aria di superiorità. L'uomo col cappello, rimasto padrone del campo, dichiara che l'Italia non vincerà mai uno scudetto finché continua a tenere Pelé in porta. Viene preso, pestato, e mandato via col camion del rusco.