martedì 1 marzo 2011

SENZA SANGUE

Nina continuò per un po' a ripetersi quel nome. Scivolava via senza spigoli, come una biglia di vetro. Su un vassoio inclinato. Si voltò a guardare la sua borsa, posata su una sedia, vicino alla porta. Pensò di andarla a prendere, ma non lo fece e rimase sdraiata, sul letto. Pensò al chiosco dei biglietti, al cameriere del caffè, al taxi con i sedili ricoperti di cellophane. Rivide Pedro Cantos che piangeva, le mani sprofondate nelle tasche del soprabito. Lo rivide mentre la accarezzava senza il coraggio di respirare. Non dimenticherò questo giorno, si disse. Poi si girò, si avvicinò a Pedro Cantos, e fece quello per cui aveva vissuto. Si rannicchiò alle sue spalle: tirò su le ginocchia verso il petto: allineò i piedi fino a sentire le gambe perfettamente appaiate, le due cosce morbidamente unite, le ginocchia come due tazze in bilico una sull'altra, le caviglie separate da un nulla: si strinse un po' tra le spalle e fece scivolare le mani, unite, in mezzo alle gambe. Si guardò. Vide una vecchia bambina. Sorrise. Guscio e animale. Allora pensò che per quanto la vita sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l'unico desiderio di ritornare all'inferno che ci ha generati, e di abitarvi al fianco di chi, una volta, da quell'inferno, ci ha salvato. Provò a chiedersi da dove venisse quell'assurda fedeltà all'orrore, ma scopri di non avere risposte. Capiva solo che nulla è più forte di quell'istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell'istante per anni. Solo pensando che chi ci ha salvati una volta, lo possa poi fare per sempre. In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo. Ma d'improvviso clemente. E senza sangue. L'insegna sgranava da fuori il suo rosario di luci rosse. Sembravano i bagliori di una casa in fiamme. Nina appoggiò la fronte alla schiena di Pedro Cantos. Chiuse gli occhi e si addormentò.