venerdì 22 aprile 2011

Mia vita



Mia vita, a te non chiedo lineamenti

fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore han miele e assenzio.

Il cuore che ogni moto tiene a vile
raro è squassato da trasalimenti.
Così suona talvolta nel silenzio
della campagna un colpo di fucile.




altre poesie:

mercoledì 13 aprile 2011

PANE NERO


La Storia non si snoda
come una catena 
di anelli ininterrotta. 
In ogni caso 
molti anelli non tengono. 
La storia non contiene 
il prima e il dopo 
nulla che in lei borbotti 
a lento fuoco... 
La storia non è poi 
la devastante ruspa che si dice. 
Lascia sottopassaggi, cripte, 
buche e nascondigli. C'è chi sopravvive... 

EUGENIO MONTALE  
La Storia, in Satura, Milano 1971



Luciana che partorisce in un basso a Napoli nell'intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l'Abbruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare, Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine della Svizzera; Zita, la mondina di Cavriago che ha il fratello partigiano e il fidanzato nell'esercito repubblichino; e ancora la confinata Cesira, Lela che comanda le ausiliarie di Salò nel Veneto; Carla che durante la guerra fa la postina aspettando il ritorno del marito; Lucia che impara a guidare il tram a Milano e il marito non lo aspetta più; la Biki che continua imperterrita a preparare la sua collezione di abiti da sera...: queste e tante altre sono le donne che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui a un certo punto ho avuto voglia di scrivere la storia.
Alla fine non ho scritto la storia di una soltanto di loro, benché ce ne fosse abbondante materia e possibilità. Ho tentato invece di scrivere la storia di tutte queste donne insieme, attraverso gli anni che vanno dal 1940 al 1945: gli anni cioè del secondo conflitto mondiale.
Mi aveva sempre colpito il fatto che, parlando di quel periodo, Carla e Lucia, Marisa e Luciana, Lela e Cesira dicessero a un certo punto, come sovrappensiero: "...però, in fondo, è stato bello".
Un'affermazione curiosa, imprevedibile, se si pensa che gli avvenimenti ai quali si riferivano sono stati certamente tra i più tragici della nostra storia e della loro vita. Quell'affermazione doveva essere precisata e chiarita.
"...però è stato bello": forse perché sia pure tra le difficoltà e le tensioni della vita quotidiana, ognuna di loro - anzi potrei dire ognuna di noi - dovette imparare in quegli anni a decidere da sola, senza l'aiuto né la tutela di padri, mariti, fidanzati. "...però è stato bello": forse perchè ognuna di noi divenne, nel pericolo e nella miseria, più padrona di se stessa.
Federico il Grande diceva: " Se anche dobbiamo lottare con tutta l'Europa possiamo proteggere i nostri confini cosi che il pacifico borghese può tranquillo e indisturbato a casa sua non sapere che il suo paese si batte, se non leggendo i resoconti di guerra". Non è più cosi. Già la guerra del 1014-1918 coinvolge in molti paesi le popolazioni. Ma la guerra del 1940-1945, quella di cui parliamo, ci entra in casa trasforma città e villaggi in campo di battaglia.
Quando farà i conti l'Italia scoprirà che ha avuto un numero di morti civili di poco inferiore a quelli caduti in combattimento.
La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse; le obbligano a uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di "moglie e madre esemplare". Questa uscita di ruolo non avviene sempre coscientemente. In molti casi, al contrario, si giustifica proprio col desiderio di mantenere fede fino in fondo a una tradizionale immagine di sé. Ma, una volta vissuta, la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l'esistenza e la possibilità di percorrere percorsi individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati in passato. La necessità diviene o può divenire allora una scelta, una cosciente assunzione di nuove responsabilità, l'apertura di un orizzonte nuovo, di un modo diverso di essere donna e persona.
Con il ritorno alla normalità questo orizzonte, almeno intravisto, si chiude. Ci vorranno molti anni, almeno una generazione, perché le donne, a livello di massa, siano tentate ancora una volta dal gusto della trasgressione e dell'autonomia.

sabato 9 aprile 2011

Verona by Monica Crusellas

domenica 3 aprile 2011

UNA STRANA E CONTAGIOSA MALATTIA


Una strana e contagiosa malattia ha iniziato a colpire i bar e i locali pubblici verso la fine degli anni settanta: il suo nome è "sindrome del bancone" , o "megalobancomania". Questa sindrome porta a cambiare ossessivamente il bancone ogni quattro-cinque anni. E ogni anno il bancone diventa sempre più grande, più scomodo ed esteticamente incomprensibile. Si possono cosi incontrare, in piccoli bar di paese, dei monoliti di alabastro nero del peso di dieci tonnellate, portati li da non si sa quale astronave. Parimenti dei bellissimi banconi di legno perfettamente funzionanti vengono sostituiti con banconi a "esse", a labirinto, pralinati con lapislazzuli, in materiali che vanno dalla bachelite arancione al vetro blindato. Gli stili passano dal rococò-maya al neo-torronico-bugnato, dal liberty-linoleum al Barbie-Goodzilla, dal Cheope-Chippendale al post-Benito, dal gotico-zotico al Luigi-X-File, dall'assiro babilonese al techno-etrusco, in una gamma di orrori mineralogici e geometrici senza limiti di spesa, di tonnellaggio e di vergogna. Ecco alcuni dei più strabilianti.

Il monolito
È un bancone di marmo, o travertino, di colore scuro, del peso pari a quello di un sottomarino nucleare, che viene calato nel bar con tecniche ancora più misteriose di quelle usate per le piramidi egizie. Anche se ingentilito con zuccheriere di Murano e scalinate di caramelle, mantiene l'aspetto di una grossa lapide, o mausoleo funerario. In un bar di Vigevano, negli anni ottanti, si presentò agli occhi dei clienti un gigantesco blocco di marmo grigio. Non appena fu lucidato apparve la scritta A Matteo sposo esemplare la vedova inconsolabile. Questo potrebbe confermare che gran parte di questi banconi siano residui cimiteriali riciclati. Il prezioso catafalco può essere impreziosito con rifiniture in oro, pietre preziose, bassorilievi, mosaici, e soprattutto gadget. Abbiamo cosi alcune varianti.


Il superaccessoriato
Tipo di bancone usato nelle città ricche e in zone abbienti. In esso si sposa l'ideale estetico dei più alti esempi di pacchianeria e cattivo gusto mai raggiunti nel nostro paese: l'arte souveniristica e il défilé di moda televisivo. Il materiale è un vetroresina rosa da bordello di emiro, o un lastrone di iceberg salmonato. L'importante è che sotto il sapiente gioco di luci, impostato da uno specialista in discoteche, tutto brilli e mandi riflessi accecanti agli avventori. Su questo apparato si ergono alcuni distributori di caramelle alti fino a due metri, un'edicola di biscotti, quattro bidoni di yougurt di diversi colori, una cioccolattiera che rimesta la stessa cioccolata dal giorno dell'inaugurazione, una macchina che fa cubetti, sfere e ottaedri di ghiaccio, e un gigantesco rotore che agita una fanghiglia verde che potrebbe essere granita o cremolato di iguana. Sul bancone sono allineate decine di vassoietti contenenti pizzette, pistacchi, pannocchiette, anacardi, capperi, olive nere, olive verdi, salatini, arachidi, cetrioli, patatine e affini. Frequentando uno di questi banconi un bevitore di Campari può vivere a sbafo per tutta la vita. Mezze bustine di zucchero, zucchero di canna, zucchero dietetico e zucchero per mancini occupano le zone restanti. Nell'unico spazio libero ci sono la pubblicità del Beaujolais nouveau, e un vaso criselefantino con le offerte per il rifugio del Levriero.
L'inconveniente di questo prodigioso bancone è che nessuno sà dov'è il barista, sepolto dietro la parata di optional. Se riuscite a scoprirlo, tra il distributore di yougurt e la cioccolattiera, o dietro una palizzata di bottiglie, potete provare a chiedergli un caffè.
- Mi dispiace signore, - risponderà affranto - ma non saprei proprio dove mettere la tazzina.
Il Transilvania superstar
Detto anche "Bara di Dracula". Blocco di marmo nero con disegni in oro, distributore di birra alla spina in avorio, sgabelli in osso. Il barista apre solo dopo mezzanotte.

Il girotondo della morte
Semicerchio di alabastro verde pisello con ringherina rococò, e sedili formati da tronchetti traballanti che spesso crollano al suolo senza motivo apparente. Se uno solo dei clienti perde l'equilibrio, trascinerà tutti gli altri in una caduta circolare, e l'ultimo precipiterà giù per le scale della toilette.

Il grande labirinto
Inventato da un architetto sadico in un giorno di ascesso dentario, questo bancone ha il compito di rendere il più posibile scomoda la vita del barista e degli avventori. È fatto a "esse", a "elle, a "doppia vu", a percorso di motocross, ogni forma, insomma, che impedisca una normale razionalizzazione del lavoro. Le bottiglie sono appese in alto, impiccate ad anelli metallici, e il barista ci può arrivare solo saltando. La lavastoviglie è sul bancone, vibra e schizza getti di vapore caldo sui clienti, mentre la macchina del caffè è in fondo a un tornante a sinistra, nascosta dietro una catasta di tazze. È quindi impossibile ottenere un caffè caldo, perché la tazzina, per arrivare dalla macchina al bancone, impiega circa un minuto e mezzo. I clienti più abili usano il vapore della lavastoviglie per scaldarsi il cappuccino o arricciarsi i capelli. Per il gioco delle sedie, girate e contrapposte in strane angolazioni, alcuni avventori stanno di spalle e possono bere solo attraverso cannucce speciali con retrovisore, altri devono mangiare tenendo il piatto sulle ginocchia del loro dirimpettaio. Ne nascono amori e simpatie. A volte può crearsi il famoso "vortice cosmico": un misterioso scambio di posti per cui tutti i clienti si ritrovano all'interno del bancone e i baristi seduti sugli sgabelli. Il fenomeno è allo studio della Nasa.
L'inferno di cristallo
Altro bancone insidiosissimo. Tutto è riflesso, tutto è specchiato e moltiplicato in un vorticoso gioco di trompe-l'oeil e tranelli prospettici. Anche la vetrina e le pareti partecipano al caleidoscopio. Il barista potrebbe essere davanti, ma anche dietro di voi. Il caffè che avete ordinato tarda ad arrivare perché il barista è lento, oppure perché lo avete ordinato al riflesso del barista, che in realtà è venti metri più in là. Chiedete un whisky ma il barista dovrà capire, tra le cento bottiglie, qual è quella vera, e poi vi verserà il whisky in testa. Pensavate di girare il cucchiaino nel vostro caffè e invece lo avete infilato in bocca a un bambino. Non è un krapfen che tenete tra le mani ma la guancia di una signora. E cosi via. Una volta, in uno di questi bar, un cliente chiese un toast. Il barista rispose che li non facevano toast. - Eppure - insistette il cliente - qua c'è scritto: "toast e panini caldi". - No, signore, - disse il barista - la scritta che lei vede è quella del bar dall'altra parte della strada.
Il serpentone
Bancone quanto mai impegnativo, composto da metri e metri di marciapiede laterizio. Il barista corre da un capo all'altro sudando e spostando l'unica zuccheriera. Quando il serpentone si unisce al monolito, si crea il moloch, sogno e incubo di ogni barista. Un blocco lucente, ispirato alle statue dell'isola di Pasqua, per trasportare il quale è necessario un autosnodato. Assistemmo una volta al montaggio di un moloch in un piccolo bar di periferia. Il padrone era molto contento. Solo dopo alcune ore si rese conto che il bancone occupava l'intero bar, e non c 'era più posto né per lui né per i clienti. Per qualche settimana riusci a sbarcare il lunario mostrandolo alla gente: dieci minuti, mille lire. Poi con una sega elettrica lo tagliò in otto pezzi e li vendette come sculture moderne. Sette sono attualmente esposti nella villa di un produttore romano a Torvajanica, l'ottavo è al museo di San Antonio (Texas).

Il bancone marino
Vecchio e classico bancone di legno, con oblò, rifiniture in ottone, conchiglie incastonate e mummie di aragoste. Certo, fa effetto vederlo fuori dal suo habitat navale, in un bar di città. Ma funziona sempre, soprattutto se il barista ha una benda sull'occhio. Ha solo due inconvenienti: per prima cosa attira stormi di gabbiani, che lo caramellano di guano e rovistano nella spazzatura. Inoltre, anche se dista trecento chilometri dal porto, la sera si riempie misteriosamente di marinai che si ubriacano, sfasciano tutto in risse interminabili e misteriosamente spariscono. Il secondo inconveniente è che provoca, in soggetti particolarmente sensibili, feroci attacchi di mal di mare. Dopo un solo bicchiere di birra vomitano e si sdraiano per terra, chiedendo quando finisce la traversata. Il caso più misterioso avvenne nel 1983 in un bar sulle montagne di Arezzo. Verso mezzanotte il padrone apri la porta e una misteriosa ondata portò via lui e una decina di clienti. Solo tre vennero ritrovati al largo delle Celebes, degli altri nessuna traccia.
I miti

sabato 2 aprile 2011

L'UOMO PRIMITIVO


L'uomo primitivo non conosceva il bar. Quando la mattina si alzava, nella sua caverna, egli avvertiva subito un forte desiderio di caffè. Ma il caffè non era ancora stato inventato e l'uomo primitivo assumeva la classica espressione scimmiesca. Non c'erano neanche bar. Gli scapoli, la sera, si trovavano in qualche grotta, si mettevano in semicerchio e si scambiavano botte di clava sulla testa secondo un preciso rituale. Era un divertimento molto rozzo e presto passò di moda. (...)

Gli antichi romani, invece, inventarono subito la taverna osservando il volo degli uccelli, e la suburra era un vero pullulare di bar. Gli osti facevano affari d'oro, tanto che divennero la classe dominante. Cesare cominciò la sua carriera come cameriere, e conservò la pessima abitudine di farsi dare le mance dai barbari sconfitti. (...)


Anche in Grecia i bar ebbero grande diffusione. I filosofi Peripatetici insegnavano nei tavolini all'aperto e finivano le lezioni completamente ubriachi. Pitagora inventò la sua famosa tavola perché era stanco di essere imbrogliato sui conti della birra, e Zanone divenne Stoico perché non aveva mai la pazienza di far raffreddare la sua cioccolata in coppa.


Il Medioevo fu uno dei periodi d'oro dei bar. Fu inventato il posto di ristoro, o stazione per i cavalli, in cui i cavalli potevano riposare e i cavalieri rifocillarsi. In realtà la cosa andava cosi: il cavaliere chiedeva al cavallo "Sei stanco, si?", si fermava e beveva. Questo avveniva anche trenta, quaranta volte in un chilometro. (...)


Una variante celebre di queste taverne erano quelle dei pirati, dove si beveva quasi esclusivamente rhum. In verità i pirati andavano pazzi per il frappé: ma rozzi e adusi alla vita di mare, finivano sempre per piantarsi i cucchiaini negli occhi. Per questo il novanta per cento portava la famosa benda nera.
Molti finirono cosi distrutti dall"acqua di fuoco", finché il famoso Morgan l'orbo non scopri che il frappé si poteva bere anche con la cannuccia. Per questa intuizione la regina d'Inghilterra lo nominò baronetto e gli regalò un timone in similpelle di leopardo. (...)

Passiamo quindi alla Rivoluzione Francese: in questo periodo i bar ebbero dei veri momenti di fulgore. I nobili vi passavano quasi tutta la giornata.
Cristoforo Colombo era stato da poco in America, e appena sbarcato aveva visto gli indigeni che portavano al collo degli strani oggetti di ferro, a forma di cilindro e con un piccolo becco. Gli indios, nel loro dialetto, li chiamavano "napoletana", o "moka", che vuol dire "macchina-di-ferro-dal-nero-succo-che-sveglia". Essi tenevano in questi cilindri un liquore denso e scuro, di cui bevevano quantità incredibili. Cristoforo Colombo volle assaggiarlo e subito disse "Manca lo zucchero", poi propose una permuta, e si fece dare tre di quelle macchine per trecento sveglie. Gli indigeni, soddisfatti lo chiamarono "Bazuk", (uomo-bianco-che-fa-gli-affari-da-bestia), e fecero un balletto in suo onore.
Colombo tornò in Spagna, e appena giunto alla corte della regina Isabella, si chinò ai suoi piedi con la cuccuma in mano e le fece una grossa macchia sul vestito intarsiato di diamanti. La regina adirata disse "Que fais?" (cosa fai?), anzi non disse proprio cosi, comunque da quel giorno la bevanda si chiamò Quefé e poi Caffè, anche se il popolo irriverente insisteva nel chiamarlo Cazzofè. (...)


Dalla Spagna il caffè volò in Francia dove divenne la bevanda preferita della nobiltà. Qui l'abate Sieyes, nota figura di taccagno, inventò il cappuccino, che originariamente al posto del latte aveva l'acqua. (...)


Intanto in Italia, Girolamo Savonarola bollava la corruzione della nobiltà e lanciava il caffè Hag. Il resto è storia dei nostri giorni.

Attrazioni
Un bar Sport possiede un richiamo tanto maggiore, quanto più organicamente possiede attrazioni: ad esempio, è perfettamente inutile che un bar possieda un buon biliardo se non ha un buon scemo da bar. E parimenti, un bar che possiede uno scemo di ottima qualità, non può competere con un bar che abbia un mediocre scemo ma che possa sfoggiare un ombrello dimenticato da Haller. I bar più di classe hanno un vero e proprio mercato di attrazioni, con pezzi pregiati: un buon tecnico da discussione del lunedi, per esempio, viene valutato mezzo milione; un fattorino cantante con sopracciglio basso vale almeno due flipper o, a preferenza, un flipper e una foto gigante firmata da Bartali sull'Izoard. Ma vediamo nei dettagli.

il flipper, la pesca col boero, il calcio balilla, il biliardo, riffa, i giochi di carte, il telefono, la bacheca.

venerdì 1 aprile 2011

Il tema di oggi

Il tema di oggi è: "Ho sognato la casa dove sono nato e mi sono svegliato nella casa dove sono nato"
Oppure:
"Edgar Allan Poe era un grande scrittore, ma eccelleva anche nella corsa a ostacoli. Quale importanza ha la cura del fisico per un buon mago baol?"
Oppure:"Trasformate il foglio protocollo in un taglio di stoffa Oxford per camicia (due metri per due) e fatene dono al vostro insegnante"

Finita la dettatura, il maestro si rilassò sulla sedia. Gli allievi e le allieve del corso di magia baol sospirarono, e si concessero una pausa di riflessione prima di iniziare lo svolgimento. Alcuni rosicchiavano la penna, altri le unghie. Altri dilapidarono all'istante tutto il patrimonio di merenda che avrebbe consentito loro un sereno intervallo. Solo il pennino del primo della classe cigolava implacabilmente.

Era primavera, e il giardino del tempio era fiorito. Fiocchi di polline entravano dalla finestra, facendo intonar starnuti ai più delicati. Gli uccellini cantavano "Siboney". Il sole scaldava il mondo. In un giorno come quello non era facile restare inchiodati a un banco di scuola, sia pure una scuola prestigiosa come il tempio baol. Perciò l'allievo Bed, mentre tutti iniziavano a scrivere, guardava fuori dalla finestra un ciliegio fiorito. "Sarebbe bello essere su uno di quei rami", pensò, e dato che era già al terzo anno del corso, si ritrovò sul ramo insieme al maestro.

- Non mi risulta che lei abbia chiesto di uscire, allievo Bed - disse il maestro.
- Chiedo scusa - arrossi Bed tra i bianchi fiori - ma è una cosi bella giornata...
- Poco male - disse il maestro eseguando alcuni volteggi a pinocchietto intorno al ramo. - C'è tempo per il tema. Ma da qualche giorno ti vedo distratto, allievo Bed. Cosa c'è? Sei preoccupato per il futuro delle foche? Sei innamorato dell'allieva O'Connor? Ti capisco. Anch'io ne vado pazzo. Vuoi cambiare studi? Pensi che il mondo stia per finire congelato oppure fritto?
- Niente di tutto questo - rispose Bed - Per la verità non riesco a togliermi dalla testa le sue parole di qualche giorno fa: "Ricordate che nella vita di ogni baol c'è un segreto e lo conoscerete solo quando sarete vecchi".
- Si, ho detto proprio cosi.
- Questo segreto mi turba, maestro. non può essermi rivelato prima che io sia vecchio?
- No, se vuoi, però, posso farti diventare vecchio subito.
- Oh no, maestro. -Allora corri a fare il tuo tema - disse il maestro, e sali verso i rami più alti a rimpinzarsi di ciliegie (le ciliegie in aprile erano un tipico trucco baol).

Qualche anno dopo il ragazzo Bed ottenne il diploma baol con trentasei trentesimi, e lasciò la scuola portando con sé molti ricordi e una foto della sua classe. Uscendo dal tempio dove aveva tanto studiato ed erano passati tanti anni della sua giovane vita, si senti vecchio.
- Maestro - gridò nel vento - è ora che io conosca il mio segreto?
- No! Fila a divertirti! - rispose una voce lontana.
Il ragazzo aspettò un momento con gli occhi chiusi. Poi sali sull'autobus che in pochi minuti lo portò in città, verso una nuova vita.
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In cui uno strano personaggio si aggira nella città, per niente contento dei tempi in cui gli tocca vivere.


E ai lati della fiumana di persone
che camminavano
sotto il portico
vi erano decine e decina di venditori
e mendicanti.
Questi ultimi, accovacciati in pose
dolorose,
con piedi storti e schiene curve,
fingendo
di dormire, abbracciati a cani e bambini,
tenevano
davanti a sé cartelli con la scritta:
affamato, reduce,
cieco, profugo, disoccupato,
non mangio da tre giorni,

gravemente ammalato, sordomuto.
E in mezzo alla
fiumana di persone
io vidi avanzare un uomo dal
nobile portamento,
con una gabardine grigia e un
cappello di feltro.
Egli scostava con disprezzo i
mendicanti dalla sua strada.
Camminava guardando
dritto davanti a sé
e portava al collo un cartello con
la scritta:
"Insensibile dalla nascita"


(Henski Baoding, Racconti Baol)


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16 giugno 1991, città di T.

È una tranquilla notte di Regime. Le guerre sono tutte lontane. Oggi ci sono stati solo sette omicidi, tre per sbaglio di persona. L'inquinamento atmosferico è nei limiti della norma. C'è biossido per tutti. Invece non c 'è felicità per tutti. Ognuno la porta via all'altro. Cosi dice un predicatore all'angolo della strada, uno dall'aria mite, di quelli che poi si ammazzano insieme a duecento discepoli. Ce n'è parecchi in città. Dai difensori dei diritti dei piccioni alla Liga Artica. Siamo una democrazia.

Ogni tanto sul marciapiede, si inciampa in qualcuno con le mani legate dietro la schiena. Forse la polizia lo ha dimenticato la notte prima. Ho guardato in alto, oltre le insegne illuminate e, obliqua su un grattacielo c 'era la luna. Le ho detto: Cosa ci fa una ragazza come te in un posto come questo?

Poi mi sono fermato all'angolo tra Dulcea e Taganrog, nel quartiere gastronomico. Passava di tutto. Un tombarolo mi ha offerto due giacche firmate appena prese ai cadaveri, garatite disinfettate. Non gli ho dato retta, preso com'ero da un'interessante visione. Davanti a un ristorante di Dulcea c'è una grande piastra ammazzainsetti a seimila volt. Ogni moscerino o farfallone che ci sbatte contro crepa, con un brivido elettrico. Mi è venuto da pensare che nessuna morte, ormai, fa più rumore di questa. Milioni di moscerini, una fiammata, e amen. Se hai la fortuna di nascere farfallone, forse si accorgono dei tre secondi in cui stai morendo.

Riflessioni cosi profonde mi fanno venire appetito. Perciò ho deciso di entrare in quel ristorante. Un ristorante di lusso, di quelli dove si succhiano gamberoni con sottofondo d'archi, non so se mi spiego, tutto marmo, velluto rosa, specchi e candeline, sembrava la garçonnière di uno yacht arabo.

Il maître mi ha esaminato con maîtresco disprezzo. Ho fatto finta di niente.

- Che pesce avete? ho chiesto.

- Tutto quello che vuole - ha risposto freddamente.

- Allora mi porti un piatto misto di mullidi, sgomberomoridi, astici, aragne, aspitriglie, valencenielli, caranghi, cozze, castagnole, caviglioni, maranzane, mazzancolle, moscardini, bocchedibue, scrappioni, lote, suri, zerri, zurli, boghe, salpe, costardelle, donzelle, nigricepi, merlani, occhialoni, sparlotti, gattiruggine, pappasassi, succiascogli, spigole ermafrodite, cernie alessandrine, lofe budegate, palinuri elefanti e ostracodermi estinti.


Mi hanno cacciato fuori. Di questi tempi è duro far gli spiritosi se non si è miliardari. Non importa. Nella mia filosofia l'importante è divertirsi. Sapete, io sono un mago baol.
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Quando sono proprio giù di morale, vado in un bar che si chiama Apocalypso. È un bar polisemico transdiversale interclassista: fino a mezzanotte ci vanno quelli che dopo vanno in un altro posto. Dopo mezzanotte ci vanno quelli che non hanno un altro posto dove andare. Dopo le quattro ci vanno quelli che non sanno nemmeno più in che posto sono.

Il barista si chiama Galles, perché ha preso tante di quelle bottigliate in faccia che è tutto ridotto a quadri e losanghe. Lo potrebbero usare come bersaglio per le freccette (anzi, qualche volta lo fanno).
La sua specialità sono i cocktail: mette insieme dei ceffi di liquori e ne fa un ottimo equipaggio. I suoi cocktail più famosi sono: Anagrafe, Rappresaglia e Menedaunàl. Anagrafe è cosi detto perché se ne bevi più di due, dopo devi andare all'anagrafe per sapere chi sei. Rappresaglia sono venti parti di grappa italiana per una di grappa tedesca. Poi c'è il Menedaunàl. Favoloso. Dopo averlo bevuto, ti vien sempre la voglia di fare il bis. Allora chiedi, appunto: "Me ne da un al..." Ma nessuno ha mai finito la frase, si schianta a terra prima.

Quando arrivo io c'è una allegra brigata di gerarchetti e clarette che stanno per andare a una qualche première. I gerarchetti sono clarkopodi, fumano cigarilli snelli e hanno giacche con spallone anabolizzate. Le clarette hanno pantaloni di giaguardami e tigraffierei, aderenti ma aderenti che quando si siedono uno si aspetta che suoni l'allarme. Stanno li ridendo in posa, come in un set di spot di brut. I gerarchetti parlano dell'argomento del giorno che sta per scadere a mezzanotte. Le clarette pispillano della nuova divisa della polizia disegnata da Jean Paul Charrier, col basco stile rapper e un mitra mignon molto sexy color muschio.

Dalla strada, arrivano duelli di clacson e sirene della polizia, l'orchestra di mezzanotte che accorda gli strumenti. La voce di un Prete Pazzo urla minacce cosmicograne. Perché sono qui stanotte, solo e triste a dieci anni dal Duemila? Perché sono un soldato e dietro ogni soldato c'è una donna.
______________________________________________________ continua

IL DIAVOLO E LA SIGNORINA PRYM


La prima storia della Divisione nasce dall'antica Persia. Il Dio del Tempo, dopo aver creato l'universo, si compiace dell'armonia che regna intorno a sè, ma sente che manca qualcosa di molto importante: una compagnia con cui godere della bellezza.

Per mille anni egli prega per riuscire ad avere un figlio. La storia non dice a chi si rivolga, giacché è onnipotente, signore unico e supremo. Tuttavia prega, e infine concepisce.



Quando si accorge di aver ottenuto ciò che voleva, il Dio del Tempo se ne pente, consapevole che l'equilibrio delle cose è molto fragile. Ma è troppo tradi: il figlio è ormai in arrivo. Tutto ciò che ottiene con il suo pianto è che la creatura che porta nel ventre si divida in due.

La leggenda narra che, dalla preghiera del Dio del Tempo, nasce il Bene (Ormazd) e dal suo pentimento il Male (Ahriman), due fratelli gemelli.


Preoccupato, fa in modo che Ormazd esca per primo dal ventre, affiché controlli il fratello ed eviti che causi problemi all'universo. Ma poiché il Male è furbo e capace, al momento del parto Ahriman riesce a scostare Ormazd e a vedere per primo la luce delle stelle.



Sconsolato, il Dio del Tempo decide di dare a Ormazddegli alleati: crea la razza umana, che lotterà accanto a lui per dominare Ahriman ed evitare che questi si impossessi di ogni cosa.


Nella leggenda persiana, la razza umana nasce come alleato del Bene e, secondo la tradizione, alla fine vincerà. Molti secoli dopo, tuttavia, compare un'altra storia della Divisione con una versione opposta: l'uomo nasce come strumento del Male.

Penso che la maggior parte delle persone sappia a cosa mi riferisco: un uomo e una donna si trovano nel giradino dell'Eden, e godono di tutte le delizie che sia possibile immaginare. Esiste solo una proibizione: la coppia non potrà mai conoscere il significato del Bene e del Male. Dice il Signore Onnipotente: "
Dell'albero della conoscenza del Bene e del Male non mangerai".

Poi un giorno compare il serpente, affermando che questa conoscenza era più importante dello stesso Paradiso, ed essi dovevano possederla. La donna si rifiuta, dicendo che Dio li ha minacciati di morte, ma il serpente sostiene che non accadrà nulla: anzi, al contrario, quando sapranno cosa sono il Bene e il Male, saranno uguali a Dio.


Convinta, Eva mangia il frutto proibito e ne offre ad Adamo. Da quel momento, l'originario equilibrio del Paradiso è distrutto, e i due sono cacciati e maledetti. Ma una frase enigmatica pronunciata da Dio dà ragione al serpente: "
Ecco che l'uomo divenne come uno di noi, conoscitore del Bene e del Male".

In questo caso - come in quello del Dio del Tempo che prega chiedendo qualcosa benché sia il signore assoluto -, la Bibbia non spiega con chi stia parlando il Dio unico e , se è davvero l'unico, perché pronunci le parole "Uno di noi".



Comunque sia, fin dalle origini della razza umana è condannata a muoversi nella eterna Divisione fra i due opposti. Nel cammino della storia, ora ci siamo noi, con gli stessi dubbi dei nostri antenati. (...)



Da quasi quindici anni la vecchia Berta si sedeva tutti i giorni davanti alla porta. Gli abitanti di Viscos sapevano che, generalmente, le persone anziane si comportano cosi: sognano il passato e la gioventù, contemplano un mondo di cui non fanno più parte, cercano ogni scusa per chiaccherare con i vicini.

Berta per
ò, aveva una ragione per stare li. Ma quella mattina, quando vide lo straniero risalire la ripida stradina e dirigersi lentamente verso l'unico albergo del paese, seppe che la sua attesa era terminata. L'uomo non era come lo aveva immaginato tante volte: i suoi abiti erano consunti dall'uso, aveva i capelli più lunghi del normale e avrebbe dovuto farsi la barba. Era arrivato con un compagno: il diavolo.


"Mio marito ha ragione," si disse Berta. "Se non fossi stata qui, nessuno, se ne sarebbe accorto."
Era assolutamente incapace di calcolarne l'età, perciò valutò che l'uomo avesse tra i quaranta e i cinquant'anni. "Un giovane," pensò, osando un riferimanto che solo i vecchi riescono a capire. Si domandò tacitamente quanto tempo sarebbe rimasto li, ma non giunse a nessuna conclusione: forse poco, visto che aveva con sé solo un piccolo zaino. Era probabile che si sarebbe fermato soltanto una notte, prima di proseguire verso una meta che lei non conosceva, e che non le interessava.
Tutti questi anni trascorsi davanti alla porta di casa, seduta in attesa del suo arrivo, le erano stati assai utili, perché le avevano insegnato a contemplare la bellezza delle montagne - una cosa che non aveva mai notato, per il semplice fatto che essendo nata li era abituata al paesaggio.
L'uomo entrò nell'albergo, come c'era da aspettarsi. Berta considerò la possibilità di parlare con il prete di quella presenza indesiderabile, ma lui non le avrebbe dato ascolto, dicendo che erano solo fantasie di vecchi.


Insomma, non rimaneva che vedere cosa sarebbe accaduto. Un demonio non ha bisogno di tempo per causare danni - proprio come le tempeste, i tifoni e le valanghe che, in poche ore, riescono a distruggere degli alberi piantati duecento anni prima. D'un tratto, si rese conto che il fatto di sapere che il Male era appena entrato a Viscos non cambiava minimamente la situazione: i demoni vanno e vengono in continuazione, senza che necessariamente qualcosa soccomba alla loro presenza. Vagano sempre per il mondo, talvolta solo per scoprire ciò che sta accadendo, talaltra solo per mettere alla prova questa o quell'anima, tuttavia sono incostanti e cambiano bersaglio senza alcuna logica, guidati unicamente dal piacere di una battaglia intrigante. Berta pensava che Viscos non avesse niente di interessante o di particolare da attirare l'attenzione di chicchesia per più di un giorno - e tanto meno di un essere tanto importante e occupato come un messaggero delle tenebre.


Tentò di concentrarsi su qualcos'altro, ma l'immagine dello straniero non le abbandonava la mente. Il cielo, prima assolato, cominciò a coprirsi di nuvole.
"È normale. È sempre cosi in quest'epoca dell'anno," pensò.
Nessun rapporto con lo straniero, una semplice coincidenza.


Udi allora il fragore lontano di un tuono, a cui ne seguirono altri tre. Da una parte, ciò voleva dire che la pioggia si stava avvicinando; dall'altra, se avesse deciso di prestar fede alle antiche leggende del posto, quel suono si sarebbe potuto interpretare come la voce di un Dio irato, che reclamava perché gli uomini erano ormai indifferenti alla sua presenza.


"Forse devo fare qualcosa. In definitiva, ciò che stavo aspettando sta per arrivare."
Per alcuni minuti, concentrò la sua attenzione su quello che accadeva intorno a lei: le nuvole continuavano ad abbassarsi sul paese, ma non si udi nessun brontolio. Come ogni buona ex cattolica, non credeva alle tradizioni né alle superstizioni, tanto meno a quelle di Viscos, che affondavano le loro radici nell'antica civiltà celtica, che un tempo era insediata nel luogo.
"Un tuono è solo un fenomeno della natura. Se Dio volesse parlare con gli uomini, non userebbe dei mezzi cosi indiretti."
Appena ebbe formulato questo pensiero, udi di nuovo il rombo di un tuono - questa volta molto più vicino. Berta si alzò, prese la sedia e rientrò in casa, prima che cominciasse a piovere. Adesso il suo cuore era oppresso da una paura indefinibile.

"Cosa devo fare?"
Desiderò nuovamente che lo straniero se ne andasse subito. Era troppo vecchia per poter aiutare se stessa, il suo paese e, soprattutto, il Signore Onnipotente che, nel caso avesse avuto bisogno di un appoggio, avrebbe certamente scelto un individuo più giovane. Tutto era soltanto un delirio: in mancanza di qualcosa da fare, suo marito insisteva nell'inventare cose che l'aiutassero a passare il tempo.


Ma sul fatto che avesse visto il demonio, be', su questo Berta non aveva il minimo dubbio.
In carne ed ossa, e vestito da pellegrino.