lunedì 16 maggio 2011

IL MAGO BAOL RACCONTA



In cui il mago baol racconta la sua triste storia e come previsto si mette nei guai



Io non so se Dio esiste,
ma se non esiste
ci fa una figura migliore

Galles a un cliente, aprile 1984


La lampadina della mia camera si è fulminata o forse si è uccisa. Illuminare posti come questo deve essere durissimo. Perciò leggo il giornale con un po' di luce presa in prestito dalla strada. Leggo del Premio dei Premi e della sicura presenza dei nostri beniamini per regalarci una serata indimenticabile. Leggo di un aereo caduto in circostanze misteriose dieci anni fa, cui è stato abbinato il concorso "Chi l'ha abbattuto?" Cronaca cittadina: un Prete Pazzo è penetrato in una clinica per aborti e ha mitragliato un intero reparto. Ha detto che lo guidava la voce di Dio. Anch'io avevo un amico cosi. Ogni tanto sentiva la voce di Dio che cantava "Lucille" di Little Richard. Allora doveva balzare in macchina e fiondarsi in autostrada ai centottanta, fin quando la voce non smetteva. Però lui non ha mai ammazzato nessuno, tolti quei tre-quattrocento gatti.


Ho avuto molti amici strani. I baol fanno amicizia in fretta, perché una delle prime cose che ti insegnano al tempio è come attaccare discorso con chiunque (non è facile, specialmente di questi tempi).
L'ultima cosa che leggo è l'elogio funebre di un noto torturatore. Un mondo di tribù, dove ognuno piange i suoi morti. Un baol deve odiare i nemici? La dottrina baol non è chiara a questo riguardo. La nozione stessa di baol non è chiara. Il poeta Heshi condensò l'essenza baol in questi versi:

E di notte
di notte
ci va di camminar


Il maestro Kara condensò l'essenza baol nel baol wu shi, arte marziale del baol codardo o della dignità del fuggiasco. Egli inventò sette stili:
 
Lo stile della tartaruga (tappati al chiuso e non venir fuori)
Lo stile del ghepardo ( scappa su un albero o su un punto elevato)
Lo stile del granchio (pedala all'indietro)
Lo stile dello scarafaggio (nasconditi dietro qualcosa)
Lo stile della mosca (fingiti morto)
Lo stile della lepre ( scappa più veloce che puoi)
Lo stile dell'elefantino (chiama in aiuto degli amici molto grossi)
 
Si batté battendosela duecentododici volte e non fu mai raggiunto né colpito. La duecentotredicesima affrontò numerosi nemici e ne fece polpette. Perché stavolta non sei scappato? gli chiesero. - Non mi sentivo bene - rispose.
 
Disteso sul letto meditai questa difficile e indisponente essenza della mia filosofia e delle filosofie in generale, sentii il gospel delle ambulanze e dei clacson, sentii le stelle che si consumavano e la marea della fame e della sazietà dei corpi, e le molle del letto gemere, e gli infiniti intrecci che in quel momento si preparavano perché io potessi dirigermi verso il mio segreto. La testa mi girò per i troppi distillati di erbe ingeriti quella sera e negli ultimi trent'anni.
 
Mi sedetti nella posizione del cane-mendicante-col-secchiello-in-bocca e aspettai. Il lavandino cantava roco. La vecchia tappezzeria Wienerbaum mi ipnotizzò con le sue geometrie. Comincia a vedere piccole cose nere con antenne che ci correvano sopra. Poi mi sembrò che entrasse un fantasma. Era vestito di bianco e azzurro. Disse qualcosa in tono genile. Si diresse verso il mio letto. Li con gesti veloci e aggrazziati, iniziò a fare una danza con le lenzuola. Le faceva volare in aria, poi le faceva ricadare come solo i fantasmi sanno fare con le lenzuola. Al termine della danza il letto, che prima recava le disordinate tracce dei miei sonni e dei miei incubi, era miracolosamente liscio e immacolato. Il fantasma aveva portato sul letto la quiete del suo mondo impalpabile. Ciò fatto mi guardò a lungo, come se attendesse un gesto da me. Poi, mormorando qualcosa, si dileguò. Il tempo passava lento. Ora vi parlerò del mio segreto.
Da quando sono nato, le cose mi hanno abbandonato. Fin qui niente di strano. "Incontrarsi e separarsi è il movimento unico e necessario con cui si traccia il nostro passaggio nel vuoto" (Baolian, libro II, p. 184). Ma per me è stato diverso. Le cose mi hanno sempre e solo abbandonato.
 
Quando ero piccolo, giocavo con gli amici nelle strade una volta alberate della città. I nostri giochi erano per lo più autoreferenziali (si diceva cosi, tra noi bambini). Eravamo burattinai e burattini, generali e soldatini, ingegnieri di piste per palline, tracciatori di limiti e confini. Erano giochi che andavano inventati e coordinati, in cui serviva perciò un fantasista e un organizzatore. Io ero bravo in tutti e due i settori (facciamo che io ero lo sceriffo e voi gli indiani e voi mi prendevate pringioniero e io scappavo e facevo crollare la diga e l'acqua ci portava via tutti e io facevo l'indondazione col secchio). Ed ecco che sul più bello della preparazione del gioco, mentre correvo tutto rosso e sudato a cercare penne indiane e secchi d'acqua, mi guardavo intorno e ... Spariti. I miei amichetti erano tutti spariti. Li cercavo per strade e vicoli, ma non li trovavo più. Magari si rifacevano vivi dopo un mese. E poi di nuovo sparivano. Perché?
 
A quattordici anni, comunicai ai miei genitori l'intenzione di studiare baol. Già da tempo si erano resi conto che non ero adatto a una vita normale, e convenivano che non c'è niente di più bello di un figlio che va per la sua strada. Feci la valigia. Andai commosso a salutarli e .... Spariti. Non li trovai né in casa né altrove. Misi anche un annuncio sul giornale "Sono stati smarriti due genitori. Indossano: lei un tailleur vigogna e un cappello con piume di dodo, lui un pigiama rigato con ampia scollatura scrotale e pantofole marmottiformi. Rispondono ai nomi di Betropia e Benedek. Chi ne avesse notizie è pregato...." Nessuna notizia, mai più. Perché? Eppure so che mi volevano bene.
 
Avevo un amico carissimo di nome Piotr. Insieme entrammo nei perturbatori urbani. Lanciammo molotov di centerbe e quadrelli medioevali, sabotanno semafori, saccheggiammo cartolerie, scassinammo flipper, decapitammo telefoni, liberammo visoni, immettemmo avanotti, affiggemmo manifesti, pestammo avversari, iscrivemmo proseliti, contestammo missili, coltivammo canapa, amammo, lottammo, credemmo. Io ispirai le sue azioni e lui le mie. Le mie donne erano anche le sue, che io volessi o no. Una notte eravamo insieme a scrivere sui muri della città "Assassini!" Dopo di noi passava il comitato politico e aggiungeva i nomi degli infami prescelti. Stavamo dipingendo l'argine di un fiume, quando udimmo le sirene della polizia. - Scappiamo! - gridai. Nessuno rispose. Sparito. La polizia mi catturò, e il mio amico Piotr non venne in mio aiuto. Perché?
 
In galera feci amicizia con un bel tipo. Si chiamava Candido. Una vita difficile. Era entrato in galera a sei anni per aver rubato una giostra. Rifiutò di dire (A) come aveva fatto e (B) dove l'aveva nascosta. In carcere scopri le parole crociate. Grazie ad esse si laureò in geografia e diventò un bravo cittadino. Usci perfettamente recuperato tranne una piccola indiosincrasia. Non sopportava chi gli diceva "È inutile che io le dica..." oppure " Non devo certo ricordarle che..." ne picchiò sedici in un mese. Lo rimisero dentro. Scontò la pena. Quando fu nuovamente rilasciato, il direttore del carcere gli disse: "È inutile che le dica che speriamo di non vederla più qui". Lo strangolò. Condannato all'ergastolo, si mise a fare sculture con i fiammiferi (galeoni perlopiù). In cella diventamo amici e insieme elaborammo un grande progetto: la storia del mondo a fiammiferi! Ci preparammo a lungo e una notte, tutti eccitati, decidemmo che l'indomani avremmo inziato con "la nascita dell'uomo". La mattina dopo Candido non c'era più. Sparito. Evaso. Perché?
 
Poi conobbi lei. Auck. Già ve ne ho parlato. Alta, bionda eccetera. La incontrai nel locale dove lavoravamo tutti e due come maghi. Dopo lo spettacolo c'era la selezione regionale del concorso "Sederino d'oro". Si aggiravano culi dentro mantelli da ku-lux-klan. Era difficile fare conversazione. Non eravamo in giuria, perciò la invitai a ballare nella sala piccola, dove c'era l'orchestra. Dissi al pianista: "Suonami il solito, per favore" Lui attaccò il tema di Perry Mason, la sigla del mio numero con l'oca. Non era proprio quello che volevo, ma ballammo ugualmente. Io le raccontai la mia vita fino ai trent'anni. L'orchestra suonava "Mi han detto che ti piacciono i ragazzi con il ciuffo". Lei mi raccontò la sua vita fino a ventidue anni. L'orchestra suonava "Zobie la mouche". Io le raccontai la mia vita dai trenta in poi. L'orchestra se ne andò a dormire. Provai a baciarla e lei disse no ti prego no non ora, io le chiesi perché? lei disse voglio che succeda nel momento giusto e io le dissi questo è il momento giusto e riprovai a baciarla e lei disse no ti prego no, non ora.
La donna delle pulizie cantava "Nessun dorma".
Io la strinsi più forte e lei non si sottrasse alla mia stretta, potevo sentire il suo cuore battere insieme al mio.
Le dissi: non ho mai conosciuto una donna come te e lei disse altrettanto.
L'orchestra era tornata e suovana Guns and Roses.
Improvvisamente mentre raccontavo il mio trentaseiesimo anno di vita, e precisamente un trasloco nel quale avevo perso un paio di calzini a me molto cari, vidi dipingersi sul suo volto il momento giusto: la baciai, e lei altrettanto.
L'orchestra applaudi e il contrabbasista venne personalmente a congratularsi.
Poi io dissi: andiamo da me o da te?
Lei disse: no ti prego, disse lei, la prima volta vorrei che fosse in un posto speciale.
Io abitavo alla pensione Astra alla camera sei, lei alla camera sette, prendemmo la camera otto, matrimoniale con vista su casse di birra.
 
Ci amammo due anni, sei mesi e tre giorni. Lei ogni notte si alzava e andava alla finestra. La ricordo con la schiena nuda, il lenzuolo intorno alle reni come una statua, i capelli, un'onda di splendore che traboccava, le luci della notte, un dito che tracciava figure incerte sulla finestra appannata. Io mi svegliavo per il cigolio e le dicevo:
- Dormi?
E lei: - No.
- Pensi?
- Si.
A questo punto mi riaddormentavo. Avrei forse dovuto starle più vicino? Avrei dovuto chiederle a cosa pensava?
Una notte presi sette caffè per stare sveglio. La sentii alzarsi dal letto e andare alla finestra. Sembrava triste, forse perché la finestra quella notte non era appannata e non poteva disegnarci sopra. Aveva dimenticato anche il lenzuolo.
- Dormi? - le chiesi.
- Si - disse lei.
Ci pensai un po' sù poi mi riaddormentai. Forse aveva voluto dirmi qualcosa, ma io non avevo capito. Non le ero stato vicino neppure in quel momento. La mattina quando mi svegliai non c'era più. Sparita. (Perché?)
Il portiere disse addirittura che aveva sempre creduto che nella nostra camera abitasse una sola persona. Dov'era andata? Eppure ero certo che mi amava. È forse questo il segreto della vita baol?
 
Tanto tempo è passato. Sono sempre stato solo, da allora. Solo come ora, mentre in quest'alba violacea piloto la mia Zaz rossiccia sull'autostrada grigiastra che porta fuori città, dal Groviglio verso il Silenzio.
Attraverso polvere e ruggine che galleggiano nell'aria, là dove non è né città né campagna, né fiori né deserto, dove un sole preistorico illumina colori chimici. Passo davanti ai campi di concentramento per tossicodipendenti e ai silos di droga. Sono diretto ai palazzi del Paradiso. La radio gracchia un rock malefico. Elicotteri ronzano nel cielo.
Forse pioverà. _______________________________________________